Ti ricordi anche di Dante: avete tu e ’l tuo padre sofferto ... Che ’l
giardin de lo ’mperio sia diserto. E di Epicuro, che nel giardino
dell’istituzione da lui fondata amava trattenersi con i suoi discepoli. Non
dimentico la grotta di Calipso, circondata da pioppi, adorna di viti, sparsa di
fontane: “che sino a un nume non potea farsi ad essa , e non sentirsi di
maraviglia colmo e di dolcezza.” (Pindemonte).
E mentre cammino su quest’angolo di paradiso, sorrido pensando
che questo meraviglioso nome: giardino, non è inglese francese o tedesco, ma
porta il timbro egiziano. Di Geb, dio egiziano della terra. Sempre legato a Nut
la dea del cielo.
E’ facile ora arrivare a sentirlo specchio della
nostra anima, una allegoria dell’esistenza, un luogo di conforto di libertà e
di evasione. Uno spazio intimo,
uno spazio interiore.
Con il linguaggio della natura dice tutto della psiche umana. E qui non
posso dimenticare James Hilman, un grande psicoterapeuta junghiano. Ecco le sue
parole:
Il giardino è pieno di metafore, penso in particolare
al giardino giapponese dove quest'idea mi è apparsa in maniera chiarissima. Tutto quello
che accade nel
giardino è pieno
di metafore della nostra vita
psichica, che si tratti di
un ponte, di
un sentiero tortuoso o
di foglie cadute
(...) tutte le
descrizioni di ciò
che succede nel giardino
durante il ciclo
delle stagioni riguarda
al tempo stesso la psiche: le foglie che cadono, la paralisi della vita che
riprende in primavera, il movimento dell'acqua, le rocce. Sono tutte esperienze
che fa anche l'uomo, solo che non le esprime con lo stesso linguaggio, mentre
il giardino lo dice con il linguaggio della Natura.
E aggiunge:
Noi oggi tendiamo a dimenticare che l'anima non è solo
dentro di noi, ma anche fuori di noi. E quando siamo in un giardino, che si tratti
di un giardino asiatico o di un giardino alla francese o di qualunque altro
tipo di giardino, si manifesta qualcosa dell'"anima mundi. L'Anima del
Mondo si rende visibile e, anzi, si mette in mostra. James Hlilman.
Ora aggiungo una mia consapevolezza. L’immagine del
giardino in tutte le sue forme, compresi i piccoli balconi delle nostre case,
ci devono rendere comprensibile, e presente alla nostra mente, che il primo
cervello operante nella nostra identità umana è quello che risiede nel nostro
intestino. Di questo ne avevano consapevolezza gli abitanti di Uruk, autori del
poema “Gilgamesh” (Tremila anni A.C.). Quando affrontano il re della foresta,
che era il grande e maestoso Cedro del Libano- ne avevano bisogno per costruire
i terrapieni e cominciare
la coltivazione del
grano – devono affrontare un’angoscia di morte. Lo fanno per il loro
popolo i due principi Gilgamesh e Enkiddu. E per questo “delitto”, l’amico dell’eroe,
Enkiddu, dovrà morire e sarà per Gilgamesh e il suo popolo una perdita
incolmabile e la scoperta della morte. Per secoli l’uomo collocava la mente nel
suo intestino, nel suo rapporto con il mondo vegetale. Se l’essere vivente
esiste lo deve alle piante. Esse producono l’aria, dentro la quale e con essa
noi viviamo.
Per questo, al di là delle similitudini, allegorie e interpretazioni,
di fatto, fisicamente il mondo vegetale è in noi, e da noi aspetta di essere
conosciuto, attivato e ascoltato. Allora la nostra vita, il nostro giardino,
inizierà a coltivare il bene pe sé, comprendendo l’origine di molti mali
fisici. Gli antichi, colpendo l’albero della foresta, capirono il dramma
ecologico. La conquista sull’albero dovettero pagarla con la vita. Usare il
legno dell’albero era colpire un essere vivente. Dovremo essere consapevoli del
vissuto psicologico del bimbo del primo e secondo anno di vita. È l’epoca del
primo cervello umano. In questi anni si attuano
i processi della formazione dell’io, dei meccanismi di difesa, di fronte alle
angosce e ai pericoli di morte. Inoltre è il tempo del piacere legato alle
funzioni naturali e della
conquista del reale. Questa coscienza e consapevolezza a
noi adulti ci aprirebbero le porte per capire in gran parte i drammi del presente,
le cui dinamiche corrispondono a tali periodi. E avremmo gli strumenti
necessari per percepire il futuro e poterci preparare ad esso, per il bene di
tutti. L’intelligenza logica e la tecnologia non sono assolutamente
sufficienti. Ci vuole tutto l’uomo. Per il tema di questo numero, affermo
l’esigenza di riprendere la conoscenza del nostro primo cervello, dove
risiedono le basi della nostra facoltà di pensare e agire, “vegetativa”.
È l’intelligenza sensitiva.
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