mercoledì 24 gennaio 2024

TEMPO DI MEMORIA E DI PENSIERO di Ferdinando Gasparini

 

 Il naufragio di una fanciulla.

Naufragio è anche rovina totale, un fallimento nella propria vita. Penso alla tragedia che ha colpito la signorina Cecchettin Giulia nel rapporto con il suo ex fidanzato Filippo Turetta.

Abbiamo parlato del male, nato nella prima infanzia e scoppiato nel giovane, all’inizio dell’età adulta, in tutta la sua massima violenza.

Possiamo ora parlare dalla parte opposta, ove all’inizio vi è un essere positivi nel mondo e s’attende nell’età adulta il viverlo insieme con il proprio amore. Lo pensiamo, lo desideriamo e ci apprestiamo a realizzarlo. E qui mi sovviene un libro molto amato dai giovani negli anni passati. Mi riferisco al libro: L’arte di amare, di Erich Fromm. Perché qui, ora, si tratta di amore e della rispettiva facoltà di amare. Può naufragare l’amore?

Ho fatto una mia riflessione: con tre facoltà universitarie devo aver fatto- dico approssimativamente- oltre 250 esami e quindi 250 discipline, comprese nelle tre lauree, un dottorato e una specializzazione. Non esiste la materia dove si affronti l’amore e si porti avanti la facoltà di amare. Mentre dedichiamo 12 anni di obbligo scolastico per sviluppare la nostra facoltà intellettiva. Perché questo? Diamo per scontato che ognuno sa amare: sa fare il figlio, il genitore, l’amico, il partner…Per scoprire poi che non ne siamo capaci, e ci costa tanto impararlo. La nostra società non dedica sforzo, impegno, decisione per maturare seriamente questa facoltà della persona umana, e così non siamo aiutati a divenire capaci di vere relazioni basate sul rispetto e il dono. Capaci di amare sé stessi e l’altro, vicino a noi.

 In silenzio e con tenerezza guardiamo Giulia. Cosa è successo a questa giovane donna, ricca di qualità umane, esperta nella sua scienza, desiderosa di vivere ed essere pienamente sé stessa? Non ha colto il pericolo assoluto, non ha visto l’odio.  Non lo conosceva perché era presa “dai sensi di colpa”. Così ci è stato detto.

Si, è così. Perché nella mi vita e nella professione, ho trovato “il senso di colpa” che obnubilava la coscienza e impediva il porsi liberamente di fronte ai fatti della vita. L’ho visto e lo vedo in tutte le persone, naturalmente non nella stessa gravità.

Ora l’aspetto sociale del significato del senso di colpa, di questa presenza dominante dentro la nostra coscienza, è la legge della sofferenza. Posso affermare senza nessuna possibilità di essere smentito, che nel mondo che mi ha fatto nascere era convinzione comune che nasciamo in una valle di lagrime. Dal quarto secolo della nostra era, alla morte degli dei pagani, dentro lo stato sociale si è inserito l’idea del peccato e quindi della sofferenza da affrontare per redimersi da esso. Se nel presente lasciamo la religione e ci affacciamo agli stati moderni dentro le loro ideologie, la legge della sofferenza e del sacrificio domina tutti, e la felicità è un privilegio di pochi.

Certo che qualche cosa presente in Giulia le ha impedito di cogliere il male reale, ma questo stato è tutto presente nell’educazione ancora attuale nelle nostre società, nelle culture che formano la nostra mente. È necessario che emergano persone sagge, in grado di comunicare ai nostri giovani il pericolo attuale e la vera soluzione ai loro quesiti. Ora non parlo più pensando a Giulia, ma ai nostri figli, essendo anch’io padre. Il pericolo reale è l’omologazione, la spinta “formidabile” ad imitare gli altri, per essere presi dal successo e così farsi consumare dall’appetito insaziabile dei padroni del nostro mondo sociale. E questo può portare al naufragio della propria vita.

La vera soluzione è affermare con chiarezza che i nostri giovani hanno il diritto di scoprire e seguire la loro” vocazione”. Non dettata dal narcisismo o dal desiderio di dominare, ma dall’attesa di essere sé stessi, felici di sentirsi vivi. E nel realizzare sé stessi trovare che partecipano realmente alla fondazione di un mondo che ha per obbiettivo il bene di tutti.

Sia felice Giulia nella nostra memoria. E sia a noi dato di non naufragare.        

       

 

 

 

 


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