PRESENTAZIONE

mercoledì 24 aprile 2024

LA PAROLA CHIAVE: PAROLA - Francesco Filia

 

“Di un fatto può essere autore anche un cane, ma una parola può essere pronunciata soltanto da un uomo”. (Joseph Roth

Ed è forse la parola a simboleggiare meglio quell’enigma specifico che l’uomo è , soprattutto per se stesso, all’interno dell’insondabile enigma dell’esistenza universale. Ogni uomo è definito dalle parole che pronuncia, che sceglie, che sa dire o che non sa dire, che ha immaginato o che non ha mai immaginato e conosciuto.  Ogni parola anche la più comune, anche quella più lisa dall’uso, anche la più abitudinaria ha una lontana reminiscenza di irripetibile originarietà e stupore. Il compito della parola poetica è quello di ridestare la dimensione germinativa del linguaggio, lo stupore del dire e dell’ascoltare.

 “La parola che il poeta usa è una parola che in genere è richiamata alla sua integrità e alla sua pienezza di significato: è potenziata al punto da esplicare quella creatività e provocarla in altri. Quanto è difficile preservare alla parola questa potenza creatrice, potenza che è in rapporto, dicevo, con il versetto giovanneo: "in principio era il Verbo". La potenza che è stata messa nell'uomo deriva direttamente dal divino: quanto è difficile preservare quella energia, quella forza della parola che la racchiude, quando è appunto al più alto grado di purezza e innocenza. Tutto nella pratica della vita, nella storia, tende a corromperla la parola, a destituirla di senso, a renderla convenzionale, non più spirito, ma lettera”.

In questo passaggio Mario Luzi coglie un aspetto essenziale, la parola è spirito, aldilà di qualsiasi dimensione strettamente religiosa, essa è spirito, è principio creatore. La parola è sempre un inizio. Parlare non è ripetere ma iniziare. In quanto l’uomo ha le parole può esprimere le proprie emozioni. In quanto esiste la parola l’uomo pensa e non viceversa. La parola è il nostro orizzonte che non potremo mai trascendere, come un corpo non può saltar fuori dalla propria ombra.

In cosa consiste la peculiarità della parola poetica? Forse consiste nel soffermarsi presso la dimensione originaria del linguaggio. Il linguaggio e la parola aprono il mondo che non è mai qualcosa di dato ma si presenta sempre come un evento. Attraverso esso ci parla un’origine, a volte in maniera chiara e fulminante, altre in maniera enigmatica. In quanto la parola può solo sfiorare l’origine, mai afferrarla, ma la parola poetica non può non tentare di farlo. In questo la parola poetica è condannata sin dal suo inizio al fallimento. Questo è il suo destino e la sua grandezza, la sua apertura essenziale, apertura silente in cui si rivela il mondo. Il silenzio è lo sfondo, il contrasto che permette alla parola di essere. È la sua linfa e sorgente. La poesia è la mappa, sempre incompleta, di questo silenzio che si mostra, viene alla luce nell’esser muto e opaco di ogni cosa, rendendolo per un attimo trasparente:  La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai. Lo avvicina”. (Giuseppe Ungaretti)

Eppure la parola nella sua radicale impotenza ci permette di abitare e, in piccolissima parte, di costruire quel labirinto che dà senso ai nostri giorni, un labirinto da cui è impossibile uscire e che nel suo dedalo di falsi sentieri, di strade senza via d’uscita, svolte improvvise ci ammalia, ci illude e ci disperde. Le parole nel loro affiorare alle labbra o nell’apparire sul foglio bianco, nell’attimo germinativo accennano all’essenza dell’esser cosa, al tremendo e al sacro che abita l’esistere di ogni cosa, perché ogni singola cosa, ogni attimo, oscilla paurosamente tra l’essere e il niente. Il poiéin, il fare poetico, è una visione, lucida e allucinata, che ha trovato parola, un pensiero sul mondo e sulle cose e questo pensiero già da sempre è diventato poesia, ossia ha attraversato una regione in cui le parole non sono solo mezzi ma sono destino, sono, disperatamente, le cose che dicono. La parola si dà come ferita radicale da cui sgorga il sangue della vita. La parola è al tempo stesso farmaco e veleno. La poesia è questo sforzo di dire ogni cosa e arrivare al limite di ciò che si sottrae alla parola. Eppure noi siamo tutte le parole che abbiamo pronunciato nella vita e che a loro volta ci hanno definito e ci scrutano in bilico tra un ricordo totale e un oblio radicale. Nessuna di esse forse potrà salvarci ma la parola dice e nel dire apre vie, sentieri, apre un senso, nuove ramificazioni, forse quello che ci definisce una volta e per sempre. E come nota Ernst Jünger: “Ogni parola costituisce una specificazione, una ramificazione, – che anzitutto si distacca dal tronco del linguaggio, poi però anche dalle sue radici, dove abita il silenzio”.  In fondo a ogni parlante, nella sua esistenza, è assegnato il compito di percorrere quelle ramificazioni che le parole sono, fin dove il suo stupore lo conduce e le sue forze glielo consentono.

 



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