PRESENTAZIONE

sabato 18 maggio 2024

DIALETTO E VOCI AUTENTICHE : Edoardo Penoncini

 

Questo mese continuiamo il nostro viaggio in Emilia, provincia di Ferrara per la precisione. Laureato in Storia medievale, Edoardo Penoncini ha pubblicato nove raccolte di poesia in lingua italiana, quattro in dialetto ferrarese. E’ interessante annotare come alcuni autori dialettali restino integralmente fedeli al loro idioma materno, mentre altri, come Edoardo, amino spaziare anche nella meravigliosa lingua nazionale. A conferma della versatilità nata da desiderio di ricerca, non solo linguistica, di alcuni poeti. Presentiamo il lavoro di Edoardo attraverso un’approfondita recensione al suo ultimo libro in dialetto scritta da Patrizia Sardisco, valente autrice in dialetto siciliano che presenteremo in uno dei prossimi numeri della rubrica. In coda alla recensione troverete 3 testi con traduzione da La Bléza- La Bellezza, opera edita da Puntoacapo e curata dal critico Manuel Cohen. Grazie a tutti e buona lettura.

                                  Alfredo Panetta

 

 Recensione di Patrizia Sardisco,

Edoardo Penoncini, La bléza-La bellezza

 Nota di Manuel Cohen, Puntoacapo 2022

In CIRCOLARE POESIA, NUMERO VIII MARZO 2024

Sezione Nella lingua di latte, a cura di Patrizia Sardisco, 

pagg. 22-23

 

 Affermare che il dialetto in sé sia respiro, timbro e calco di memoria, non offre certamente il destro acontroversie: e nella pronuncia poetica della lingua materna, l'antico strumento è come ripreso e restaurato, attualizzato e vivificato, con quel gesto di delicata, riflessiva cura capace di lasciare intatta e ben visibile la preziosa patina del tempo.

Assai meno pacifico e conciliante appare, invece, il ragionamento intorno ai temi del dire poetico dialettale, all'oggetto del suo discorso, così di sovente accerchiato e circoscritto da un materia lessicale che appare come grezzo, non sufficientemente raffinato e affilato, impoverito in quantità e qualità espressiva anche dai decenni d'assedi e incuria, e in definitiva giudicato inadeguato alla complessità del tempo presente e al salto in lungo delle sfide future.

L’insistita identificazione del dialetto come lingua della realtà ne ha mostrato a lungo e quasi esclusivamente gli aspetti di concretezza, di adesione puntuale e senza scarto all'oggetto che nomina, insieme a quella immediatezza di irriverente veracità che la rendono consona, tutt'al più, a "una poesia giocosa, ridanciana, non di rado greve, didascalica" (Penoncini, 2022, pag. 71).

In ombra e talora rimossa, dall’altra parte, giace inespressa e dubbiosa la potenzialità comunicativa del dialetto per ciò che attiene all’esperienza interiore ed estetica, la sua capacità di nominare anche i sentimenti più profondi, le sfumature emotive, le astrazioni verticali del pensiero.

Convintamente in direzione opposta si profila e si offre al lettore l'ultima raccolta di Edoardo Penoncini, La bléza(La bellezza). Nota di Manuel Cohen, puntoacapo 2022, che allaccia la squisita musicalità della parola di terra estense al tema programmaticamente dichiarato nel titolo - tema astratto e concretissimo al tempo stesso, e caro e dibattuto da pensatori, artisti e poeti d’ogni tempo e luogo - e lo declina come canto di memoria e speranza: è dalla triangolazione illuminante e feconda tra poesia, lingua e tempo, sembra voler dire il poeta, che la Bellezza può essere postain giusta luce, soggetto di rinnovata attenzione, oggetto di più lucida tutela.
Quarta opera in dialetto del poeta ferrarese, "libro vero e proprio, compiuto(...) perfetto nella proposta,nell'articolazione o costrutto", come puntualmente avverte Manuel Cohen nella ampia e felice Nota che ne introduce le pagine, La bellezza di Edoardo Penoncini sembra raccogliere più di un testimone, più di una sfida: se, da un lato,come suggerisce ancora Cohen, la silloge si confronta pagina dopo pagina sul senso stesso della poesia e della bellezza,dal canto mio osservo che la scelta del dialetto rivela e indica una traiettoria, un orizzonte, un sogno.

La scelta del dialetto come lingua di poesia dice a doppio filo di sé, della stessa scelta e della stessa poesia, ed è di per sé stessa dichiarazione di poetica.

La ricerca certosina, l'inesausta istanza esploratrice, si traducono sul piano formale nell'iterazione in posizione incipitario, all'interno di gran parte dei 28 testi che compongono la silloge, del sintagma che coincide con il titolo - La bléza, La bellezza -, significativamente in minuscolo,come voler alludere alla sua onnipresenza umile, comune ("ovunque si vada c'è lei"), così come i felici accumuli,le "tante cose" che via via ne svelano la composita essenza, sembrano dire del molteplice che è al contempo scrigno,segno e pegno dell'uno, dell’universale, suo contenitore e suo contenuto ("una musica/che mi restituisce i brividi di tutto il mio tempo").

Né può ignorarsi l’occorrenza del richiamo appassionato,talora persino struggente, a ill paròll, alle parole: dette, scritte, cantate, in ogni stagione intime compagne e testimoni fedeli, chiare depositarie di un"patrimonio di un tempo pietra su pietra".

La bellezza è una promessa di felicitò,sosteneva Stendhal. Ed è proprio come  impegno e come sguardo rivolto al futuro che la bellezza dev’essere preservata, custodita, ascoltata nella sua accorata richiesta d'amore: "per tutti i bambini seduti su una panchina". Il tempo, qui,infatti, è ben lungi dall'esser soltanto memoria, sguardo di nostalgia: è ciò cui la bellezza può dare scacco ("ha una forza che vince anche il tempo"), facendo largo a un'altra primavera collocata fuori tempo, oltre ogni tempo. Nei versi che compongono gli ultimi  testi della raccolta, sfrangiata la compostezza delle doppie quartine (di endecasillabi, nella versione dialettale, di versi liberi, ipermetri per la maggior parte, nella traduzione che lodevolmente non difetta anch'essa in ricerca di musicalità ed equilibrio), nel contrarsi dei versi in un tono più intimo, lo sguardo del poeta diviene visione,agnizione, il compiersi di un sogno, il germogliare di una distanza più consapevole e rasserenata. E"poi che accada quel che domani deve accadere/ la bellezza resterà anche dopo questi giorni”.

  

10

La blézaj’èillparòll diti da ƞ’vèć

ch’j’abràzatut’illstaśón d’la so vita

na canta ch’la cànta la so speraƞza

a ƞ’putìƞcoƞlusantà s’nabaƞchéta

 

la bléza l’è n’iƞsunîintj’òć d’uƞvèć

ch’i córadré a la Fata Turchina

ch’la fàgavìvardòpadlu al dialèt

par tuti i putìƞsantà s’nabaƞchéta.

 

10

La bellezza sono le parole dette da un vecchio

che abbracciano tutte le stagioni della sua vita

un’aria che canta la sua speranza

a un bambino seduto con lui su una panchina

 

la bellezza è un sogno negli occhi di un vecchio

che rincorrono la Fata Turchina

perché faccia vivere il dialetto dopo di lui

per tutti i bambini seduti su una panchina.

 

 17

Quandj’òcj’intórbiaj’òmbar e i peƞsiér

a nàs tuta la bléza d’la zità:

nanuvla da spósaiƞgàtià s’i cùp

la s’imbalùnafóra da la mura

 

alźiéraalźiérapéna più d’uƞvél

l’iƞgulìs al misterî d’la vié d’j’Àƞźul

e ascuóśaƞcórapr’illstrad al siléƞzî

dillrigh e d’j’àƞguld’na Musa ch’l’iƞchiéta.

 

17

Quando gli occhi mescolano ombre e pensieri

nasce tutta la bellezza della città:

un velo da sposa aggroppato ai tetti

si gonfia oltre le mura

 

leggero leggero poco più di un tulle

lusinga il mistero della via degli Angeli

e ancora si cuoce per le strade il silenzio

delle geometrie di una Musa inquietante.

 

27

L’è sémpar al mèiƞsunî

uƞtilîiƞmeź al źardìƞ

a la so òra natàula

dópultruƞzìƞnadstròpa

una da ƞ’cò una da cl’àltar

par zcórar da mi a mi

na volta većna volta źóvan

 

pó d’iƞveransaràrm in cà

e santàdnaƞzi a la fnéstra

guardàr chi dù là fóra

a sptàr la blèza d’n’altra primavéra.

 

27

È sempre il mio sogno

un tiglio al centro del giardino

alla sua ombra un tavolo

due poltroncine di vimini

una da un lato una dall’altro

per discorrere da me a me

una volta vecchio una volta giovane

 

poi d’inverno chiudermi in casa

e seduto davanti alla finestra

guardare quei due là fuori

aspettare la bellezza di un’altra primavera.

 

Nota bio

 Edoardo Penoncini nasce ad Ambrogio di Copparo (Fe) il 20-12-1951, laureato in storia medievale presso l’Università degli studi di Bologna, è stato assegnista per quattro anni presso l’Istituto per la Storia di Bologna, redattore per tre anni della “Rivista di studi bizantini e slavi”, collaboratore per 25 anni della rivista “Scuola e didattica”, ha insegnato Lettere nella Scuola secondaria fino al 2011.

 Ha pubblicato nove raccolte in lingua, tra queste: Qui non si arriva di passaggio. Ferrara, musa pentagona,pref. Roberto Pazzi, Ibiskos-Ulivieri 2012;Vicus felix et nunc infelix. La luce dell’ultima casa, Al.Ce. 2015; Sotto le palpebre, pref. Marzia Minutelli, Puntoacapo 2021

 In dialetto ferrarese: Al fil zrudla (Il filo srotolato), pref. Zena Roncada, Al.Ce. 2015; Scartablàr int i casìt (Rovistando nei cassetti), Al.Ce. 2018; Al paréa uƞ fógh ad paja, pref. Zena Roncada, Puntoacapo 2019; La bléza, Nota di Manuel Cohen, Puntoacapo 2022.

 Interventi critici: Considerazioni sulla poesia di Daniela Raimondi, in «l’Ippogrifo», n.s. a.II, 2, pp. 29-33, Scoprire i poeti dialettali: Gastone Vandelli, in «l’Ippogrifo», n.s. a.I, 2, pp. 17-24; Sulle orme della poesia di Bruno Pasini, in «l’Ippogrifo», n.s. a.II, 1, pp. 37-43; Direzioni e inversioni nella poesia di Iosè Peverati nelle prime raccolte: da Quarantaquatar quadrit a La giostra, in A tréb con Iosè Peverati. Studi e testi per il 90° compleanno, a cura di E, Penoncini, Al.Ce. 2017, pp. 23-31; Sulle orme dei poeti dialettali: Ferraguti, Pasini, Peverati, in Annuario Govoniano di critica e luoghi letterari, a cura di Matteo Bianchi 2019; Noterelle campagnole sui Fuochi govoniani, ibidem.

 

 

 

 

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