respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolci gocce dell’alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell’alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre ‒
sei la vita, il risveglio.
Stella sperduta
nella luce dell’alba,
cigolio della brezza,
tepore, respiro ‒
è finita la notte.
Sei la luce e il mattino.
Cesare Pavese
da “Verrà la morte e
avrà i tuoi occhi”
Leggo i versi esatti di Pavese e tra tutti "lo spiraglio dell'alba", nella sua nitida semplicità, mi sembra il più denso di senso e di luce.
Mentre leggo
ritorno all'amore, al baricentro delle nostre vite minute, agli spiragli di
luce che ogni amore porta con sé, perché l'amore questo è, radice e vincolo,
spiraglio e nascondiglio. La parola "spiraglio" contiene semi di luce
e di vento e, forse, non a caso è anagramma di "spariglio". Quando si
spariglia si aprono nuove possibilità di gioco, quando si aprono spiragli la
vita si allarga all'improvviso. Una vita intessuta d’amore spariglia la noia,
cerca spiragli di quotidiana armonia, vie di fuga dall'ordinario, sentieri
inesplorati.
Mentre leggo,
attraverso un amore non mio, lascio che si mescoli al mio sangue e provo a
saltare altrove da me, a respirare un'aria diversa.
Cerco spiragli.
Se fossi
rondine, ape, formica, petalo, foglia, rugiada; se fossi muta creatura mortale,
sarei, forse, più grata, sazia di vita, d'amore, di morte, lieta di respirare,
senza sapere come. Ma sono io, minuta creatura mortale, persa nel tentativo di
indagare i significati di una parola che resta socchiusa, come spesso accade a
sud di ogni altrove. Non sono sola, qui tutti cerchiamo spiragli; vogliamo
giocare nelle stanze di ieri; respirare ricordi; dire cose lievi; violare
divieti; vietare giudizi; sgusciare di sera a spiare la luna; sperare di essere
stelle, pulviscolo, tremore e pioggia; petricore. Siamo creature mortali, anime
animali in cerca di luce e d'amore.
Qui si lascia
l'uscio socchiuso, si tiene uno spiraglio aperto per accostare al cuore le cose
indecise, tenerle sospese, arrese alla vita che non conclude, esclude ipotesi e
chiude la porta alle possibilità. A sud di ogni altrove si preferisce
restare a mezz'aria, socchiudere il cuore e lasciare che passi la luce senza
ferire.
Qui si cammina
insieme, un passo per volta, ognuno col suo un sasso nella scarpa e con
un asso nella manica. Nessuna risposta certa alle domande che tracciamo sul
selciato, la vetta spiata dal basso e vista controluce conosce la pazienza
delle attese.
Scriviamo come
fosse vero il cammino, nei muscoli l'inutile tensione della fantasia.
Attraversiamo
da qui passaggi di tempo, oltre l'istante troviamo la nebbia e la rugiada, il
pettirosso e un battito d'ali che ci spinge a misurare il passo, lanciare il
sasso, giocare l'asso e poi tornare a casa, col cielo in tasca e un miracolo in
più, nascosto chissà dove.
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