PROGETTO

mercoledì 21 maggio 2025

TELEFONICA, la rubrica delle pagine bianche: Occhialì - a cura di Valerio De Nardo

 

Le Castella è per me come Helgoland fu per Werner Heisenberg.

            È in questo principio di indeterminatezza, in cui il tempo non esiste e non esistono le cose e le sostanze, ma soltanto la probabilità delle relazioni fra di esse, che posso trovarmi qui e raccontare, anche se per la Storia sarei morto. Carrére, pensando alla biografia di Philip Dick, ne ha fatto il titolo di un libro di quest’illusione costante che guida il ciclo delle stelle e dei pianeti, del giorno e della notte, del mangiare e del digiuno, del sonno e della veglia.

            I sogni sono quantistici nel loro stato indefinito in cui la realtà si mescola con l’impossibile: gestiscono la transizione tra l’essere e il nulla – a volte incubi, a volte dolci sensazioni, talvolta ritorni di memorie e persone care, tal altre premonitori. Poi ci sono i sogni erotici, certo, dove il corpo si fa carne se pure dentro il guscio onirico. Ma io sognavo spesso le battaglie che ho guidato, le persone che ho strangolato con le mie mani e sgozzato con la scimitarra, vedendole morire senza provare pietà alcuna. Ma ho sempre sognato soprattutto questa terra, la mia terra, perché qui ho le mie radici e per questo ti vengo a cercare.

            Vi tornai anche prima qui, dove tutto ebbe inizio, quando mi chiamavo Giovanni Dionigi Galeni ed abitavo, con mio padre Birno e mia madre Pippa proprio qua sotto, davanti alla fortezza aragonese, che ora guardo fisso nelle fattezze bronzee d’una statua, sotto la quale mi piace venire a sedere nelle notti di luna piena di questo vostro strano coprifuoco con luci e televisori accesi.

            Vi capisco: siete stanchi, impauriti; temete di non riuscire a riprendere le comode abitudini nel conforto di uno spritzino, viaggiando allegramente, confondendo liberamente i vostri respiri negli assembramenti di centri commerciali o centri urbani, poca è la differenza. Vi capisco: non ci siete abituati. Ma io quand’ero vivo per la Storia ho attraversato battaglie su battaglie, perdendole e vincendole, e naufragi, epidemie, terremoti e oggi ho anche questa statua qui, di fronte allo Jonio profondo e superbo.

            Posso esser vivo e pure morto perché sono stato bambino povero, monaco mancato, cristiano schiavo e poi rinnegato e infine condottiero musulmano ricco e potente e non saprete mai se in punto di morte mi sono poi nuovamente convertito alla vecchia religione e in fondo non importa, perché siamo tutti deboli bastardi superstiziosi e impauriti da questa maledetta benedetta morte.

            Per me è rimasto tutto chiuso in questo Golfo, che guardandolo da qui segue la costa scendendo verso sud e degradando verso ovest, così che il ciclo del sole si esaurisca tutto al suo interno, sorgendo qui a sinistra, alzandosi sul mare e tramontando in un ponente sempre diverso, ma sempre animato di quei colori che traducono la frequenza della luce, l’inclinazione dell’asse terrestre ed altri parametri comunque emozionanti.

            E dire che ne ho visti tante di albe e tanti di tramonti, come dal mio palazzo sulla collina di Top-Hana, alle spalle europee della Città, sul mar di Marmara. Ma non sono mai riuscito, né ho mai voluto, dimenticare quelli che ho veduto da qui. Sarà per questo che fondai e lasciai lì un villaggio che si chiamava Nuova Calabria.

            In questa dimensione priva di consistenza posso incontrare Odisseo e Gioacchino Murat, Cassiodoro e Gioacchino da Fiore. Ci facciamo delle belle chiacchierate giocando con le nostre storie, con la sapienza olimpica e terrena delle dee e degli dei antichi e quella insieme ascetica e temporale dei nostri dii, per i quali ciascuno di noi può dir di sè monoteista.

            Ho vissuto bene, ho combattuto, sono scampato alla disfatta di Lepanto riportando a Istanbul lo stendardo dei Cavalieri di Malta e sono morto nel mio letto, ma, come dicevo, sono vivo. Perché sono tutto quello che siete voi, che amate la bellezza e praticate l’orrore, che rendete grazie al dio che vi conviene in quel momento. Che vi lasciate trascinare dal vento, come quello che spingeva le vele delle navi al mio comando, dove arrivai partendo dalla galera del remo ottomano.

            Sono Uluç Alì Pascià, essere umano.


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