PRESENTAZIONE

domenica 8 dicembre 2024

A SUD DI OGNI ALTROVE - Pasquale Vitagliano

 

   LA MEMORIA DEL SUD TRA GENIUS E DAMNATIO LOCI

 “Guardate, un paesaggio classico, il mare, la riva deserta, gli ulivi, il sole, le cicale, la pace, la sonnolenza, tutto è rimasto immobile e intatto dai tempi della Magna Grecia. Gli ulivi, il sole e le cicale significavano sonno, abbandono, rassegnazione e miseria, e ora lì, invece, gli uomini hanno costruito una cattedrale immensa di metallo e di vetro per scatenarvi dentro il mostro infuocato che si chiama acciaio e che significa vita”, scrive Dino Buzzati nel docufilm di Emilio Marsili Il pianeta acciaio nel 1962. Oggi queste parole sembrano assurde, quasi beffarde. Ci domandiamo se davvero non fu allora un abbaglio pensare che l’industrializzazione fosse la via obbligata per lo sviluppo e la modernizzazione del Meridione. Forse il concetto stesso di sviluppo doveva essere contestato.

Ma esisteva, ed esiste ancora, una visione e una versione alternativa? Di fronte al successo della Notte della Taranta che attira in Salento a Melpignano centinaia di migliaia di persone, è legittimo chiedersi che forse la ricchezza del Sud sta nella sua stessa natura e nella sua identità.

Se davvero la tarantella fosse capace di sostituire il mostro di fuoco ne sarei felice. Al momento, sembra, purtroppo, che sia accaduto il contrario. L’egemonia produttivistica come un potere minerale è riuscita a ingoiare e digerire anche le culture alternative, omologandole all’idolatria della quantità e del successo. 

Ad un certo punto, a Craco c’ero già stato due o tre volte senza mai incontrare anima viva, ci trovammo di fronte una recinzione. Tutela il borgo. Non entrare. Un altro avviso avvertiva senza tanta convinzione, solo per deterrenza, la presenza di telecamere. In realtà più di un varco aperto consentiva ancora di entrare dentro il paese vuoto. Infatti, anche quella volta riuscì a fare la mia passeggiata lunare, una nuova breve esplorazione in una terra sconosciuta, dentro un corpo che sembrava ormai privo di vita. La rete collocata dall’amministrazione comunale avrebbe dovuto essere nelle intenzioni un sistema di protezione. In realtà, si trattava di fatto di un incarceramento. Craco prima di allora era stato un’esistenza vegetale aperta a tutti. Apparentemente inerte, invece, donava a ciascuno, senza fare differenza, qualcosa. Adesso quel corpo era stato costretto dentro una camicia di forza. Sopravvivevano quei varchi, chissà se involontari, che non impedivano a noi di entrare, ma al paese di uscire per prendere un po’ d’aria e di libertà, come uno dei picchiatelli di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Anche quella volta, non incontrammo nessuno. Eravamo noi e Craco, e nessuno altro.

L’ultima volta che sono andato a vederla c’era la coda. Non si poteva più entrare liberamente. Bisognava passare da un check point che forniva guida e caschetto di sicurezza, previo pagamento di un prezzo simbolico per il servizio. Insomma, è finito che hanno messo in gabbia Craco, come The Elephant man, il deforme John Merrick, per mostrarlo al circo in un freak show.

Attenzione gente. Per accedere alla Città Fantasma è necessario munirsi della Craco-card e si deve firmare una liberatoria sulla sicurezza e sui rischi. Vi ricordiamo che adesso è possibile acquistare i biglietti on line. “Lasciatemi stare. Non sono un mostro. Sono un essere umano!”

Ad un certo punto, si è formata dentro di me un’immagine nitida e ineludibile. Turisti e viaggiatori prendono sempre due strade opposte. I turisti inseguono la memoria e spesso questa non è che nostalgia, propria o di altri. I viaggiatori invece la rifuggono, perché sanno che a volte può fare danni. Può ingannare o bloccare, trasformare una damnatio in genius loci. Non è questo il dramma del Sud?

 

 


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