Il
vuoto necessario
Credo che sia quanto mai necessario, in questi anni iperconnessi, specialmente a chi scrive, fare spazio al silenzio, svuotarsi dei detriti accumulati negli anni, perdonarsi gli errori e perdonare, insomma alleggerirsi, lasciare che gli altri, gli incontri, le esperienze, gli accadimenti possano trovare un varco in noi, per essere vagliati, assimilati, digeriti. È spesso richiamata nei miei versi, magari in maniera implicita , l’immagine della crepa/ferita/feritoia/spina che non solo esprimono le sofferenze, le difficoltà che ogni cammino umano inevitabilmente comporta, ma ci spingono a metterci in relazione, a chiedere aiuto, ad aprirci alle sorprese che ogni giorno ci offre, a prendere atto che qualcosa ci trascende. Questo fare i conti con le nostre falle ci ridimensiona, ci ricorda le nostre fragilità, ma al contempo ci rende vasi preziosi, se permettiamo al profumo della speranza, che significa apertura a quanto di bello può sorprenderci, di farsi strada in noi e così curare quelle ferite e renderci sempre più empatici con chi ne ha, magari più gravi e nascoste delle nostre.
Puntura gentile
Ti
prego di essere bella
di
uscire da sola perfetta
non
hai bisogno di me forse
neanche
di due ascoltatori
puoi
mettere assieme i colori
cantare
visioni commuovere
o
farti vicina portando
con
te la riserva l’ampolla
con
l’olio di nardo purissimo*
che
rende possibile attendere
persino
nel vuoto sospeso
in
cui è scaduta la vita –
non
senti in te scorrere il lampo
l’odore
del bosco la brezza
che
porta il sussurro del cielo?
Ben
poco dipende da te
un
niente una punta di spillo
ma
senza quel foro minuscolo
che
mi hai praticato al ventricolo
sarei
un ticchettio per me stesso
un
timer senz’occhi a guardarlo.
*
Cfr. Gv 12,3.
Affidamento
Sorrido all’orrido che il male instilla
nelle agitate ore a mezzo sonno
ondate di pensieri si affastellano
disegnano i contorni dei mancati
adempimenti – i vuoti sono ombre
sarcastiche timori che da sempre
condizionano il flusso dei miei gesti
ma in fondo per le scelte ormai mi affido
a chi conosce bene le mie falle
e se ne prende cura liberandomi
dal peso di una legge che costringe –
la grazia non richiede una classifica
dei meriti ma solo un’accoglienza
che sappia un po’ svuotarsi un po’ diffondersi –
il sé più vero è infatti relazione
che dona agli altri spazio e non possiede
neppure il suo – lo rende permeabile
al grumo di bellezza condiviso.
Nessun commento:
Posta un commento