Nel vuoto di voce. Nomi e loro destini.
di Patrizia Sardisco
Nessuno più mi chiama in una lingua
(…) in una lingua che non so più dire
Stefano D'Arrigo
C’è una voce nella mia vita
che avverto nel punto che muore…
Giovanni Pascoli
Per prime lo tennero caldo: sotto la lingua, umido di stupore, sapido come un desiderio. Salpò, tra uno scroscio di risa, sottovento, legno leggero.
Sul rovescio del nome le voci che prime lo inaugurarono, prima del tempo, cucite a punto indietro al suo destino di fissità. Tracciarono rotte di un mondo ulteriore, quelle cuciture, in una lingua di parole appena udite e subito dileguate, dette e trascolorate, mimetizzate come pesci in fondali tirrenici, in un per sempre presago del suo punto di vuoto, del più acuto, profondo non più. Dentro quel vuoto il nome mio sfaldandosi cade. Si perde. Diverrà vuoto esso stesso, valva senza mollezza di voce, perla di pronuncia. Diverrà polvere. Disperso nei fondali di sabbia di tutte le parole divenute niente, che nessuna voce mai dice, in nessun luogo, più.
Sul rovescio del nome il principio del nome, il soffio sulla creta, l’alito per sempre rimesso sullo specchio: perché il dito scrivesse a suo tempo, lento, a lungo, con devozione, la sua propria mimesi illusa, tenue ricapitolazione, umida consolazione in una lingua che non sa di sbiadire, zufoli, quartare che il tempo leviga soffio a soffio, fino alla nota muta, al canto dalla sintassi vuota: povero orecchio che si sporge a raccoglierne debole l’impressione di un’eco nel punto che muore, il tepore di terracotta che scema.
Sul rovescio del nome il suo nido e il salto del percepirsi d’un tratto figli - generati, suscitati: detti – sostanza nominata, idea presa in parola. Sul rovescio del nome la porta del nome e di ogni altra pronuncia di cosa – di casa, di mare e colline, di aspre campagne, di chiese, di vento – nel tempo primo della meraviglia, prima di ogni spavento innaturale, prima di ogni rinuncia, dello iato, del vuoto. Una porta in armonica mimesi tra gli arredi e gli stucchi di un trompe-l'oeil di una casa d’un tratto – d’un tratto! - svuotata, rimpicciolita, di un tempo in un attimo stretto, e adulto: porta a vento, pneumatica, che morbida cede alle spalle che premono al muro per la spinta di un nuovo silenzio nel centro del petto. Di un nuovo deserto. Di spalle, il mio nome che cade in una lingua che più non lo dice. Che non chiede, non narra, non canta.
In un dolce dialetto che tace, ma bacia la fronte nel sonno. Che nel sogno si fa legno leggero, sogno di sogno.
Nessun commento:
Posta un commento