Non ti
credo
ma c’è chi giura che esisti,
forse non ti so cercare
o rassegnarmi a cadere
e tu giochi a nasconderti
non ti fai trovare,
sembriamo
due strani innamorati
ma io ti sento
qui alle mie spalle,
a volte mi sento toccare.
Salvatore
Toma , Il Canzoniere della morte
(Quad.
XIX, 12)
L'anima
del poeta percepisce, oltre la sostanza e anche oltre la forma, un quid di inafferrabile, inaccessibile con cui deve
fare i conti inabissandosi nella profondità misteriosa di un tocco che avverte
ma di cui non sa la fonte.
Salvatore
Toma, salentino (Maglie 1961/1987), dialoga con qualcosa o con qualcuno: Dio,
la morte, l'amore, l'anima, l'io, il piacere, il dolore, il senso?
Mi è piaciuto
proporlo proprio per l'ignoto in cui immerge chi legge. Quasi un invito, da
parte del poeta, ad immedesimarsi in un travaglio interiore da cui è impossibile
venire a capo, ma a cui è impossibile sottrarsi.
Un
incessante, spasmodico frugare dentro ignote origini, direi, per nulla
estraneo al destino di chi vive la poesia (e capta il lettore) dalla marginalità
di orizzonti non scontati che ognuno, di volta in volta, è tratto a schiudere.
Il sospetto da fugare, è che, in ultima analisi, il vero interlocutore che
gioca con noi a nascondino, non sia altro che la nostra immagine incrostata
dentro lo specchio dell’ anima. Un riflesso del sé.
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