Memoria
Memoria e desiderio, memoria e desiderio. La memoria che in aprile si risveglia con il risvegliarsi del desiderio, ma che d’inverno si assopisce sotto la coltre rassicurante del freddo dei sensi: «L’inverno ci ha tenuti caldi, coprendo / La terra di neve di scordamento, nutrendo / una vita magra di tuberi secchi».[1]
L’inverno
è la stagione della morte, Persefone spacca le viscere di Demetra e torna dal
suo sposo oscuro, noi tutti battagliamo questa morte propiziatoria
moltiplicando gli sforzi e le brame: è d’inverno che più lavoriamo, è d’inverno
che le luci della città s’incendiano, le fabbriche stantuffano, i termosifoni ribollono.
Al simbolismo del morire-per-rinascere sostituiamo la grottesca idolatria del
semprevivo, in una perversione dell’ordine delle cose che ci ammala e ci
umilia.
«Eppure
hanno dato il loro nome alla terra».[2] È
terribile il salmo – sono sempre terribili i salmi –, è terribile nella
precisione chirurgica con cui inchioda alla realtà le nostre fantasie e la
nostra protervia: «Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo
prezzo. / Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare /
per vivere senza fine, e non vedere la tomba».[3] La
nostra vita finirà, le nostre battaglie, le nostre conquiste, gli amori: tutto
finirà e non saranno i nostri sforzi a poterne salvare un solo granello. Ed è
questa la battaglia – nella dismemoria arrogante di noi tutti, che crediamo di
salvarci perché sappiamo accendere un lampione o schiacciare sull’acceleratore
e arrivare in un’ora da Torino a Milano; è questa la battaglia, ricordare che
come c’è una vita votata alla morte, c’è una morte votata alla resurrezione – e
che non saranno le nostre conquiste a ottenercela: «Questa è la sorte di chi
confida in se stesso, l’avvenire di chi si compiace nelle sue parole. / Come pecore
sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio
nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora».[4]
Non
le parole in cui confidiamo, non le cose a cui ci aggrappiamo, se è vero –
com’è vero – che un uomo «quando muore, con sé non porta nulla, né scende con
lui la sua gloria».[5]
Una sola cosa, per il salmo, ci distingue dagli altri animali: la memoria
dell’eterno e del destino. Ché se è vero – com’è vero – che «l’uomo nella
prosperità non comprende, è come gli animali che periscono»,[6] e vero
altrettanto che nel segreto del cuore lo spirito ci parla e ci ricorda chi
siamo, che «Dio potrà riscattarmi»[7] e che è in
questa lotta tra memoria e dismemoria che si gioca la sfida della vita e della
morte.
(Nota:
la traduzione da The Waste Land è dell’autore. I Salmi sono
citati secondo la numerazione della Vulgata dalla traduzione di Paolino
Beltrame Quattrocchi OSB, 1972-1981).
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