Brevi note:
uno
psichiatra che da bambino sognava di diventare poeta
Sogno, poesia e follia sono accadimenti a cui abbiamo
dato un nome, ma di cui sappiamo poco.
La follia, per alcuni, è ancora la sorella sfortunata
della poesia, si perde nel bosco e vi rimane intrappolata, preda dei suoi
fantasmi e di voci inesistenti.
Il sogno è un enigma spodestato del suo regno, senza
inconscio è diventato il prodotto dell’attivazione irregolare di infaticabili
neuroni, che anche di notte non smettono di lavorare.
Alla poesia resta l’abbaglio di pochi versi che
nell’abisso scoprono la luce.
Sognatori, poeti e folli sono inadatti a vivere nel mondo, scomodi ospiti in casa propria, parlano una lingua che neppure loro riescono a decifrare.
La maggior parte dei sogni svanisce all’alba e, di
giorno, l’assenza di un’ombra di vero agli uomini sembra portare
sollievo.
I sognatori superstiti, dopo lungo peregrinare e
ripercorrere più volte da mattina a sera le stesse strade, trovano rifugio nel
lettino di un lontano seguace di Freud.
Dei poeti, al contrario, si può dire che sono dappertutto, seppur ben mimetizzati tra loro.
Ogni poesia, infatti, partorisce un poeta, anche
se, per un insondabile mistero, è sempre quest’ultimo ad arrogarsene la
paternità ancora prima di diventare adulto e laureato.
Vorrebbero volare in alto i poeti, essere riconosciuti
per il loro canto, raggiungere con un pensiero nuovo i filosofi, che siedono
sulle nuvole.
Ne condividono l’amaro destino: non lodati ma ignorati
dai più comuni mortali che hanno i piedi ben piantati sulla terra.
La follia è una forma altamente contagiosa tra le masse, non tanto la nevrosi dell’uomo moderno quanto la sua declinazione più severa, quella che porta a credere che il nemico stia parlando direttamente a noi dallo schermo di casa e che l’unica cosa da fare sia uscire a combattere una nuova guerra.
Per questo da sempre, perlomeno nella nostra civiltà
occidentale, i folli si cerca di tenerli ben isolati dai sani, lasciandoli in
custodia a medici senza qualità ma affetti da furor sanandi, gli psichiatri.
Eppure, le voci disperse, le immagini sfilacciate ma così vivide a occhi chiusi, non smettono di interrogarci e a noi non resta che riceverle, sostenendo la domanda, anche se la risposta tarda o non sembra a prima vista accessibile.
Lo sguardo interiore accoglie, senza togliere peso
alle distanze, il cinema della notte, che mette in scena non tanto i desideri
senza coraggio di ciascuno, quanto l’immagine prima dell’esistenza, l’infanzia
dell’umanità più di quella del singolo.
Nulla unisce, infatti, gli esseri umani quanto
l’esperienza onirica che ne testimonia la sostanziale uguaglianza,
continuamente negata allo stato di veglia.
Ognuno di noi, per quanto piccola e breve possa essere
la sua parte ricevuta in sogno, può esserne messaggero fedele, contribuendo a rendere
più vivibile la valle del fare anima, ovvero il nostro mondo.
(in “Corpo in ombra”, inedito, in corso di pubblicazione per “I quaderni del Bardo”, 2025)
per chi avesse da aggiungere sguardi o domande nell’ombra…
giancarlo.stoccoro@gmail.com
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