A sud di ogni altrove c’è
uno spiraglio, come il raggio di Schwarzshil, la radiazione di Hawkings,
epifenomeni olografici del buco nero nel suo orizzonte degli eventi. C’è una
radiazione di fondo come spiraglio del big bang, respiro di fluttuazioni
quantistiche che lo precedettero e furono genesi del mondo percepito esistente
nel vortice intuìto dei loop di multiversi.
A sud di ogni altrove il
sole filtra dagli spiragli tra le listarelle della persiana; anima la
penombra di lame di luce, in cui danzano tagli, ritagli e frattaglie di vita
morta in forma di pulviscolo atmosferico, di polvere, che siamo e ritorneremo,
frantumi d’universo, figli delle stelle, barbagli d’energia.
Vanità delle vanità, verrebbe da dire, anche se in verità, m’insegnò
Fra’ Roberto Pasolini, fu san Girolamo a proporre quella traduzione, che poi
divenne tradizione. Perché in sanscrito la parola ch’egli intese come vanità
avrebbe invece significato di soffio: per cui sarebbe soffio di soffio, che poi – se ci pensi
– è quel che viene da uno spiraglio.
E infatti l’etimo discende dal provenzale e –
quindi – dal latino e – dunque – spiraglio è il soffiare, che s’insinua,
è un respiro passante da un piccolo spazio, buco, apertura, fessura, lesione,
lacerazione, rottura.
Ma spiraglio è quello che si produce
aprendo appena un uscio, portando lo sguardo oltre la porta, potendo vedere,
scrutare, spiare quel che rimaneva fuori dalla nostra portata. O è un porto, a
cui conduce la luce d’un faro, spiraglio nella nebbia per il navigante
nei mari del sud di ogni altrove: speranza dell’approdo a fronte del timore del naufragio.
Spiragli per spifferi da vecchie imposte, da cui trapassa il gelo in una stanza,
inverno che non conosce limiti e insidia carne e ossa e vi s’insedia
ghiacciando le sensazioni. L’acqua sciolta non ha bisogno di spiragli,
li crea, cavando il lapideo goccia a
goccia.
Spiragli di
sole dietro le nubi. Spiragli di pace dentro al frastuono della guerra. Spiragli
di guarigione nel decorso della malattia. Spiragli di speranza negli
abissi di sconforto e sfiducia. Spiragli d’amore nel sorriso della
persona desiderata.
Punti di fuga. Visioni ristrette, aperture per
sguardi e dettagli, sbagli e sbadigli, e andando nel sole che abbaglia sentire
con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo
seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. Spiragli
come i versi d’una poesia, che filtrano il mistero in una sequenza di parole, o
le note d’una melodia che riproduce la frequenza delle nostre vibrazioni,
illusione d’intuire l’uno nel tutto, il tutto nell’uno.
Spiragli come
quello attraversato dalla creatura ch’esce dal ventre della madre e viene alla
luce, nasce alla gioia e al dolore, alla noia e all’amore, all’illusione e
alla delusione. Spiragli come l’ultimo respiro, lo spirare per rendere
l’anima al sud di ogni altrove, al nulla, al niente eterno, all’essenza, all’assenza, che – mio caro
poeta – sarà più acuta presenza solo per te che la soffri.
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