mercoledì 6 novembre 2024

"NELLA CODA DELL'OCCHIO" - Daniele Gigli

 

Spiragli

 «Dal profondo a te grido, Signore».[1] Dal profondo, da questo esilio che è la vita, questo affannato e appesantito correre di moto in moto che c’impolvera i gesti e il respiro – birth, and copulation, and death. Dal profondo, con l’inverno che presto viene, a confortarci nel tepore dei sensi assopiti, a coprirci con una neve di dimenticanza. «A te grido», ma che grido e a chi gridarlo?

I morti non possono lodare dal sepolcro, possiamo farlo noi? Possiamo noi, rinchiusi nel sepolcro quotidiano del dare e dell’avere, del sentimento e del risentimento? «Non i morti lodano il Signore, né quanti scendono nella tomba»[2] dice il salmista e ancora insiste – insiste sempre, il salmista, un grido continuo, un pertugio scavato a furia di tonsille e di lacrime, uno squarcio, uno spiraglio tra gli inferi e la terra, tra la terra e il cielo: «Compi forse prodigi per i morti? O sorgono le ombre a darti lode? / Si celebra forse la tua bontà nel sepolcro? La tua fedeltà negli inferi? / Nelle tenebre si conoscono forse i tuoi prodigi, la tua giustizia nel paese dell’oblio?».[3] Nessuna lode da chi loda idoli che «sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo», che «hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, / hanno orecchi e non odono»;[4] idoli che non hanno «respiro nella loro bocca»,[5] idoli così simili alla felicità da sembrare la felicità e così simili alla perdizione da sembrare la perdizione.

Troppo facile, ammazzare il desiderio per ammazzare l’idolo. Ma quale spazio, allora, quale spiraglio tra gli inferi e la terra, tra la terra e il cielo? Quale spazio, quale adiacenza, tra desiderio e corruzione? Quale la via d’uscita?

 

 

(Nota: i Salmi sono citati secondo la numerazione della Vulgata dalla traduzione di Paolino Beltrame Quattrocchi OSB, 1972-1981).



[1] Salmo 129, 1.

[2] Salmo 113B, 17.

[3] Salmo 87, 11-13.

[4] Salmo 113B, 4-6.

[5] Salmo 134, 17.




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