Una casa è più di un luogo: ci contiene intimamente. Non è
solo l'estetica o il riflesso di un carattere. È molto di più. Ma, soprattutto,
diventa tale quando - parodiando Saint’Exupéry -si lascia addomesticare, solo allora la senti
amica, un prolungamento di te.
È il posto incantato dove le ciabatte hanno un ruolo cruciale:
nessuna come loro sa raccontare il tuo star bene. Fuori dalla porta lasci
maschere dovute e quotidiane ma, all’interno, sei la tua nudità. Come un
felino, spargi odori, raddrizzi un quadro, accarezzi ninnoli: delimiti il tuo
regno, la tua regalità.
A pensarci bene, la tua casa si espande in quel paese che
l'anima costruisce laboriosamente. È dentro, sempre con te, come un santino nel
portafoglio.
È anche un contenitore dell'accaduto, un memoriale di
persone, il diario di un quotidiano. La senti solida e tua perché eretta con
frammenti di tempo e di vissuto.
Oggi vivo con marito e figli la “mia” casa. Molti anni fa –
molti! – abitavo, con genitori e fratello, una piccola casa in affitto, un po’
umida. L'ho rivista di recente. Non ha più arredamento né quei profumi, ancora
così accesi nel mio olfatto. Ma ho ritrovato l'angolo della bambola, il
corridoio dove scorrazzavo in bici, un balcone che s'accendeva di primavera, e
su tutto... un sorriso di padre.
Non abito più in quella casa. Eppure, lei continua ad
abitare me.
Mostrami il doppio della felicità
lo schianto di luci nelle tenebre
il sole del grano alto
l’albero che resiste all’ascia
le impronte di volpi sulla neve
– tracce indistinte di incontri – e ti dirò
dello stesso e del mutevole
di un tempo straniero che cresce in petto
del cuore che va lavato di tanto in tanto
di dolori che scavano strade nel sonno
del fiato che ci vuole
per non restare intrusi a sé stessi
(da L'alveare assopito - Fara 2022)
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