Fin dai tempi molto antichi i sogni
sono stati materia di conoscenza, occasione di rivelazioni. Anticamente però
non si credeva che l’uomo avanzasse solo per il mondo, separato da tutto. Nella
Bibbia appaiono alcuni sogni profetici, in cui si rivela il futuro; ce ne sono
altri in cui il presente acquista pienezza di senso: sono sogni “ispirati”,
come era ispirata ogni conoscenza. (…) Ogni sapere è rivelazione.
Zambrano
La letteratura del resto, non è che un sogno guidato.
Borges
Molti di noi preferirebbero essere visti come pensatori
determinati che come sognatori indecisi.
Hustvedt
Il nostro <<cinema interno>>
(Italo Calvino) ha, fin dall’antichità, rivestito un ruolo determinante nel
formare un’identità sia individuale che collettiva e ha improntato la lingua
magica del mito.
Se i filosofi, seguiti a ruota
dagli scienziati, hanno voltato presto le spalle all’infanzia dell’umanità,
poeti e sognatori non hanno mai smesso di ricordarci quanto sia necessario
rimanere in contatto con i moti dell’anima, abbandonando, seppur
temporaneamente, l’orizzonte razionale che dà un’immagine riflessa della
realtà. Come facciamo a sapere quello
che pensiamo se non vediamo quello che diciamo? Per i greci i sogni non
venivano fatti ma visti e raccontati come si racconta uno spettacolo al quale
si è assistito. Ci vorrebbero parole dotate di movimento per condividere gli
stessi pensieri ed emozioni sperimentati durante il sogno.
Come ricorda Kleist <<la
parola non è una catena con una zeppa nella ruota dello spirito, ma come una
seconda ruota che le corre parallela sullo stesso asse>>. E più oltre
aggiunge, nel suo mirabile saggio: <<Poiché non siamo noi a sapere, ma è in primo luogo una
certa nostra condizione>>.
I poeti sanno bene che i sogni sono
l’unico lasciapassare per giungere a un <<paese innocente>>
(Ungaretti), un luogo dove le cose sono offerte senza venire da subito tradite.
Per dirla con Borges, bisognerebbe semplicemente comunicare qual è il sogno,
per quanto confuso e offuscato, senza cercare di abbellirlo o di capirlo.
Sarà lo stesso Freud a ricordare
l’importanza di accecarsi artificialmente per mettersi in una posizione
creativa ed essere disponibili alla scoperta di quanto non è ancora accessibile
alla nostra comprensione.
Con la scoperta dell’inconscio,
all’inizio del Novecento, i poeti diventano <<sublimizzatori di
professione>> (Saba), gli unici, forse, capaci di trasformare le fredde e
ripugnanti fantasie di tutti in opere d’arte. Il padre della psicoanalisi
paragonò, infatti, il processo artistico con quello dell’elaborazione onirica e
utilizzò lo stesso modello: <<Una forte impressione attuale risveglia (…)
il ricordo di un’esperienza anteriore per lo più risalente all’infanzia e da
questo deriva ora il desiderio, che si crea il proprio appagamento nell’opera
poetica; nella stessa opera poetica si rivelano elementi tanto del fatto
recente che ha fornito lo spunto quanto l’antico ricordo>>.
Sostituite dall’invenzione del cinema
(nei confronti del quale Freud fu molto scettico, al punto da liquidare la
settima arte come un <<passatempo senza storia>>), fratello gemello
de L’interpretazione dei sogni, le
immagini oniriche sono state sottratte al mondo per essere custodite
gelosamente nella stanza d’analisi. Considerate un fenomeno prettamente
egocentrico, indifferente alle analogie e somiglianze facilmente riscontrabili nei viaggi
notturni della collettività, esse vengono decifrate sotto la lente
d’ingrandimento dell’interpretazione psicoanalitica.
L’inconscio
freudiano, bonificato e restituito all’orizzonte razionale dell’Io, accontenta
forse il sognatore in terapia, non certo il poeta che riconosce la necessità di
restituire alle parole la loro ombra (Paul Celan), alla poesia il compito di
divenire <<un’avventura mentale>> (Brodskij), che accompagna il
lettore più lontano di qualsiasi riflessione intellettuale.
Ancora oggi si può
leggere: <<Durante il sonno le funzioni vegetative sono adattate alla
condizione del dormire. Rimane un barlume di memoria e coscienza, che si
manifesta nei sogni>> (Benini).
Il recensore
dell’articolo di neuroscienze finisce col dire che dell’attività del sonno si
sa poco e che il significato del ritmo circadiano veglia/sonno è oscuro.
La poesia non
se la cava meglio, trattandosi di un <<godimento pieno di puzze segrete
infantili>> (Cavazzoni), ogni << poesia trasuda impurità e
perversione>>. Qui lo sguardo è
rivolto al Pascoli, ma forse tutti i poeti non sono che <<brutte
creature>> (come canta Francesco De Gregori ne Le storie di ieri), tutt’altro che eterni fanciulli dall’ingenuo
sentire.
Questa operazione di sottrazione,
che tende a “scoperchiare” l’inconscio individuale, polarizzandosi sulla
personale biografia (le biografie dei poeti sono tutte uguali ma ciò che
contraddistingue ciascuno è il canto, ammoniva Brodskij) sembra non portare
molto lontano: resta l’immagine di un uomo che cammina da solo per la strada
con le proprie miserie, separato da tutto (The
road, film di Hillcoat, dall’omonimo romanzo di Mc Carthy).
Da un altro vertice osservativo, ripreso
dal junghiano James Hillman e dal freudiano Wilfred Bion, possiamo ricordare l’esortazione
del poeta romantico Keats: <<Chiamate, vi prego, il mondo “la valle del
fare anima”. Allora scoprirete a cosa serve il mondo>>, come occasione
unica e irripetibile offerta dalla vita per maturare la nostra anima attraverso
le sue imperfezioni.
Ciò diventa comprensibile solo si
riconosce che nei sogni e nelle poesie è presente e continua a vivere
l’infanzia non del singolo ma dell’umanità, <<nostalgia di un tempo anteriore
a ogni tempo vissuto>> (Zambrano). Il linguaggio poetico è la lingua
materna dell’uomo e il sogno l’immagine prima dell’uomo, ricordava già Novalis.
Si può qui appena accennare al
lavoro di Bion che riprende tali concetti e in particolare quello di
<<capacità negativa>> (preconizzata proprio da Keats che si
riferiva alla capacità di stare nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio, senza
l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione) e riformula quello di
<<rêverie>> (abbandono del flusso ad occhi aperti, magicamente
descritto da Bachelard), arrivando a rivoluzionare il lavoro psicoanalitico e
concorrendo allo sviluppo di un nuovo approccio sulla funzione del pensiero e
il sogno come il “Social Dreaming” di
Gordon Lawrence.
La <<rêverie>> diventa
la capacità materna di prestare la propria mente al bambino e rimanda da un
lato a una dimensione antropologica universale, dall’altro a una forma propria
di esperienza strettamente connessa al “fare poesia”.
Ogni pensiero inizia con essa, ogni
parola nuova ci raggiunge prima dei concetti ai quali è associata.
Il lavoro dei poeti e quello
attuale con i sogni (laddove si segua il modello bioniano di onirizzazione del
lavoro analitico) e non più sui sogni, di freudiana e kleiniana memoria (basato
strettamente sul lavoro di interpretazione del materiale onirico portato
dall’analizzando) sembra trovare molte consonanze.
Riferimenti bibliografici
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