“Sud” è l'idea platonica, le cui ipostasi cambiano di
soggetto in soggetto. Se ci aggiungiamo che l'Io, o ciò che chiamiamo tale, è
un mulinello di personalità in costante lotta, possiamo forse spiegare perché i
miei ormai sempre più rari ritorni al Sud attraversino fasi grosso modo fisse:
impatto (le immagini familiari, gli odori, i suoni del vernacolo, i piedi che
ritrovano da soli la strada di casa); anamnesi (il passato si affaccia con
intensità quasi dolorosa); delibazione dei ricordi; presa di contatto con la
realtà; ricordo del perché me ne sono andato; senso di soffocamento; desiderio
di fuga (di solito, non oltre il terzo giorno); partenza.
Da qualche anno, il mio Sud personale, ossia quella
particolare cittadina, con la sua topografia, le sue isoglosse dialettali, i
suoi campanili che terminano in cipolloni maiolicati e multicolori, insomma il
mio natìo borgo selvaggio, ha una lacuna, un punto vuoto. E quel punto vuoto coincide
con la mia casa. Che c'è, ma è stata venduta, ristrutturata, quindi non è più
la mia casa, non si sovrappone all'archetipo conservato nei ricordi.
E anche il suono di questa notte umbra è soffice, come
ovattato dai tronchi di un bosco: un usignolo giù per la collina, il gatto dei
vicini che fa la serenata, il grufolio lontano di un cinghiale, a volte la nota
ondulante dell'allarme dalla palazzina di fronte, che ci fa sussultare nel
sonno. Il buio è compatto, rotto solo da pochi lampioni o dalla finestra di un
insonne.
La casa in Puglia era un palazzo primo-Novecento, dai muri
spessi e dai soffitti altissimi. La mia camera si affacciava sul “giro
esterno”, l'anello di vie che cinge il centro storico. Sotto c'erano una
farmacia e una pizzeria, di fronte un bar. D'estate, fino a tardi, arrivavano
le voci di chi sedeva fuori a prendere il fresco. Mi affacciavo al balcone e
osservavo l'ampia curva che andava da una parte verso porta Foggia, dall'altra
verso via Daunia.
Non era mai buio, né silenzioso. La via era illuminata tutta
la notte e si sentiva il passo di chi rincasava, le risate delle comitive che
tornavano dallo struscio, la voce di qualcuno che usciva dal bar un po'
alticcio.
Potrei ancora ripercorrere mentalmente, con chiarezza
assoluta, il gomitolo dei vicoli. Potrei disegnarli angolo per angolo, pietra
per pietra, fino all'ultima scheggiatura del basalto e all'ultimo tarassaco
cresciuto fra l'intonaco.
Eppure non torno. O, se torno, scappo. Perché se è vero che
ognuno ha il suo Sud, il mio non è a Sud di nulla, se non di me stesso.
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