domenica 2 giugno 2024

SERRATI VERSI - Francesco Filia dialoga con Giovanni Peli

 


Poesie (1994-2024) è l’ultimo libro di poesie di Giovanni Peli - poeta, narratore e musicista - edito da Calibano editore, 2024. Si presenta come un libro composito, in quanto riunisce testi editi e inediti pubblicati e scritti in un trentennio. La struttura antologica del libro permette di attraversare una parte consistente del percorso poetico di Peli e di coglierne le costanti, le variazioni sul tema, la coerenza del dettato e gli aspetti centrali del suo immaginario poetico. A tal proposito ho posto a Giovanni che ringrazio per la disponibilità, alcune domande.

  

1) Poesie (1994-2024) è un libro, che ripercorre e ripensa il tuo percorso  poetico in un lasso di tempo di trent’anni. Nella nota conclusiva sottolinei che l’accostamento dei testi è di tipo stilistico-tematico. Oltre questo filo conduttore, quali sono le tracce, gli indizi che tengono insieme testi così temporalmente distanziati?


 Per portare a termine un’opera devo avere una fortissima motivazione. Essa è situata in un misterioso angolo dell’animo, è un sentimento dirompente, ed è anche un’ossessione, sfugge alla razionalità ed è un pensiero che resta acceso, un fuoco, che si spegne solo quando l’opera è finita, e spesso, solo quando è pubblicata. Avevo bisogno di porre fine al mio scrivere in versi, le motivazioni sono molte e probabilmente le esternerò poi. Quindi quest’opera parla della fine di qualcosa, è quindi un’opera paradossale, perché ha una sua necessità di vita (parlo di mia necessità, poiché non ho la presunzione di creare qualcosa che sia necessario per gli altri) ma testimonia una fine. Parlare di una fine non può eludere però un discorso sulla morte: la morte della poesia (immaginata non solo per me ma per tutti), la morte di ogni essere (o pensiero) che vive. E tali percorsi portano a un precipizio; per salvarmi prendo allora le distanze e tratto i componimenti che ho autoantologizzato (con l’aiuto di amici lettori!) come fossero un materiale. Mattoncini che compongono un libro. Ma è materiale, in realtà, ben più fluido: liquido. Mi serviva, per proporre una raccolta tanto corposa (i versi derivano da raccolte più brevi - come sono tutte le mie opere - ), che tutto fluisse, che scorresse come un fiume. Quindi ho tolto ogni suddivisione in sezioni o capitoli, ogni titolo, ogni indicazione che potesse interrompere un ritmo. Tale ritmo si arresta solo all’ultima pagina, ma fino ad allora non è regolare, la partitura prevede cambi di tempo in chiave, per così dire; del resto lo scorrere dell’acqua in un fiume cambia, perché incontra pietre, l’argine può stringersi o allargarsi, come la portata d’acqua. Ma cambia anche la lucentezza, quel brillare che percepiamo nelle giornate di sole, cambia nel nuoto dei pesci, con il saltellare delle rane, per il volo delle libellule: non è mai uguale, ma è sempre presente. Dunque la morte è il cardine su cui tutto ruota, dalla fine dell’adolescenza alla fine della giovinezza: la morte che, infatti, possiamo chiamare fine. Fine dello scrivere poesia. Fine della raccolta. Fine di una singola poesia. E poi c’è anche l’altro nome della morte, il nome che risuona quando si fanno le carte divinatorie: trasformazione.

  

2) Mi sembra che un aspetto centrale del libro sia  la relazione in cui  stanno nei tuoi versi memoria e attesa e quindi una riflessione sull’esistere dell’uomo. Come dialogano, se lo fanno, queste due dimensioni  nelle tue poesie?


 È giusto quello che dici. Il passato torna continuamente e permane, ogni giorno, assieme al presente e al futuro. Un’altra costante del mio essere autore (preferisco, quando necessaria, una “etichettatura” di me il più possibile generica, dato che, come forse sai, la poesia in me si è sempre affiancata alla canzone, al teatro, e da qualche anno alla narrativa fantastica, che è ciò di cui voglio soprattutto occuparmi in futuro) è il sovrapporsi di questi elementi temporali, oltre che di registri e di tecniche. Da piccolo giocavo con le parole nel modo più violento possibile: le scrivevo una sopra l’altra, il risultato era un segno indecifrabile. Era il sovraccarico di informazione, era l’esplosione della vitalità e allo stesso tempo l’implosione, la fine della comunicazione stessa. Forse l’inizio della poesia. Probabilmente l’inizio di un afflato creativo che aveva a che fare con le parole e che non poteva esaurirsi con la poesia. Infatti la poesia, per me, si è rivelata sempre più inadeguata, insufficiente. Per quanto riguarda l’attesa, è in effetti un altro tema per me fondamentale: non riesco a non pensare a una raccolta in particolare, Onore ai vivi nel 2018 (anche da essa ho estrapolato alcune poesie per inserirle in questo ultimo definitivo libro). Onore ai vivi, è stato scritto durante la gravidanza della mia compagna, è un libro sull’attesa. L’attesa del figlio e l’attesa che una sensazione diventi un concetto, e attesa che tale concetto diventi una parola, e che la parola possa essere usata in qualche modo. Non sappiamo fino all’ultimo momento se tale parola apparterrà alla poesia. In una poesia, in realtà può trovare solo una luminosa e temporanea collocazione, ma porterà sempre con sé dell'altro, altri significati sovrapposti, perché la parola, come la poesia, è viva e impura.


3) Inoltre è presente in maniera evidente nei tuoi testi una riflessione esplicita sulla parola poetica, basti pensare al verso in esergo: Le parole non appartengono alla poesia. Qual è il tuo rapporto con la scrittura poetica e il suo senso?

 

Bisogna rassegnarsi, e farlo con gioia. “Le parole sono di tutti”. Tutto ciò che ho detto prima, il giungere all’esaurimento della possibilità di dire in poesia, l’esaurimento della poesia stessa, si accompagna all’osservazione della poesia contemporanea, osservazione sempre più faticosa, che pure continuo a fare con ostinazione e, a volte, interesse, da lettore e da editore (con il progetto quasi decennale di Lamantica Edizioni), mentre da autore respingo le idee poetiche, di poesia pura, per, eventualmente, trasformarle in qualcosa d’altro. Dunque faccio fatica a dare il giusto peso alla parola poetica, oggi. Vedo la poesia inguaribilmente elitaria, autoreferenziale. È il destino di molte altre forme artistiche che secondo me faticano a rinnovarsi, e forse non possono farlo proprio perché il loro linguaggio, oggi, è depotenziato. La poesia ha bisogno di silenzio, e quindi anche se molte persone si muovono con la poesia, ai festival, per esempio, o in altre forme organizzate di divulgazione, non significa che la poesia sia uno strumento ancora valido. Quindi come fruitore, soprattutto, mi trovo in continui vicoli ciechi e, riguardo alla poesia, mi tengo strette le letture dei classici del Novecento italiano, che credo sia un apice irraggiungibile, una costellazione di poeti patrimonio dell’umanità di cui dobbiamo essere grati. Nella contemporaneità ci sono vari epigoni, ci sono certo bravissimi poeti, ma temo che si muovano in direzioni  già percorse, o che, comunque avrebbero potuto essere già percorse: non sono immagini dell’oggi.


 4) Nel libro coesistono testi più ampi e strutturati, con un respiro più lungo, altri brevi, quasi epigrammatici. Come coesistono  le diverse forme di dettato nella tua scrittura?


 Ogni libro che ho scritto sentivo che poteva essere l’ultimo, poi sono arrivato a considerare ogni singola poesia come l’ultima. Ad ogni riemersione, ricominciavo da capo. Probabilmente è per questo che ho tentato di esprimermi in modi diversi, sempre con l’idea che ogni volta dovevo dire tutto. Varie forme di tutto, ma sempre in un modo definitivo, che non lasciasse scampo a nulla di ciò che provava a fagocitare. Mi è sempre sembrata inoltre una scappatoia, anche un pochino disonesta, ripetere una forma, avere per così dire uno stampino pronto. Perché del resto la forma è anche il contenuto e non mi sarebbe bastato dire cose nuove o apparentemente nuove, usando lo stesso dispositivo tecnico. Il rischio è la cosa più affascinante dello scrivere, perché ci porta in territori che non conosciamo, anche di noi stessi. Ecco, direi che l’unica possibilità dello scrivere, del creare, è corteggiare il mistero, non averne paura. Senza mistero non c’è poesia, non c’è scoperta. Le cose che dico qui le porto nella prosa, nelle canzoni (che pure non voglio più scrivere), e nel lavoro editoriale. Penso che ci sia troppa volontà di chiarire tutto, di mostrare come è tutto pulito e organizzato (e facilmente vendibile e consumabile - anche l’inconsumabile poesia -): Lamantica Edizoni racchiude tutto nella sua carta azzurra, che si modifica in formati diversi, per meglio accogliere il testo, ma non ci sono collane, ogni libro vive della sua natura, non ci importa il genere letterario (a volte non sappiamo nemmeno quale sia), ogni libro è un fiume in piena, necessario per noi, e speriamo anche per gli altri (qui sta l’atteggiamento diverso tra il mio essere autore e l’essere editore - come editore do alle stampe un libro soprattutto per gli altri -). La creazione è un gesto misterioso. Insomma, aumenterei la percentuale di “ispirazione” e abbasserei quella della “traspirazione”, nella famosa ultra citata frase: non dobbiamo dimostrare di essere grandi lavoratori, artigiani della poesia (orrore!), non dobbiamo dimostrare niente a nessuno. La cultura è una proposta, non un’imposizione; non stiamo calando perle dall’alto, per qualche porco che sta di sotto. Penso che vadano ripensate molte cose. Almeno io voglio farlo, a costo di essere invisibile: c’è una partecipazione al di fuori dei grandi eventi e una condivisione al di fuori dei social network. Quindi, per tornare alla tua domanda, direi che il coesistere di dettati diversi è insito nell’espressione stessa, è uno dei requisiti.

 

*

C’erano i mostri alle finestre e fiamme,

e Dedalo giù in basso che gridava...

e questa luce di un lampadario

già di recente frantumato.

Lui bellissimo, seduto senza sguardo,

con la cintura di cuoio

che si è già tolto e che è finita lunga

lì sul tavolo

ferma a guardarlo

come un serpente in agonia cuoio morto

che ha fatto scappare Agnese e Luciana

già pronte per scappare e vanno

in paese tornano stasera

e chi si ricorda più

quello che Agnese gli ha gridato,

e la vocina di Luciana...

Lui che le aveva prese su un bel giorno del ‘50,

e le ha prese su dal paese

tra lacrime e bei sorrisi di tutti,

e le ha portate in un bel posto nuovo, in città,

e c’era l’allegrezza al cuore.

Ha tutto dimenticato come tutte le sere

quelle arrivano

ogni giorno è sempre un giorno

strisciando come la cinghia cuoio

morto che le fa scappare ancora.

Alla finestra ci sono questi grandissimi ragni

con gli occhi da donna,

ragni che lo vogliono prendere,

lui che invece non ha sguardo:

è forte come un toro e sorride

aspettando come tutte le sere quel sonno

che non gli fa sentire più niente addosso

né di come brucia tutto,

dalla gola al sesso.

 

 *

Scelgo il libro per la notte.

Il giorno per quanto dolce

risveglia tutti i mostri.

È una pioggia di denti chiusi forte.

Corriamo allo spazio vuoto

e lì troviamo ore salve:

le costellazioni impure

della rinascita.

 

*

Quando avrò finito tutti i soldi

non riconoscerò più molte parole,

due volte al giorno penserò alla morte

mentre una zanzara d’autunno

mi assaggerà.

Alzando gli occhi sulla tua pelle

chiara di Albicocca

saprò soltanto parlare di attimi

fatti di smarrimento e candore:

mi illudo di non essere più io

ma un soffio soffiato da chiunque:

un canto dei morti

o il nostro bel cielo

incrostato di grigio e di nero.

 

 

Biografia

Bibliotecario, scrittore e musicista. Per più di vent’anni si è occupato di poesia, canzoni e testi per musica. A partire dagli anni Dieci affianca a queste attività la scrittura di romanzi brevi. Ha pubblicato libri per bambini ed è autore per il teatro. Dirige dal 2015 il progetto microeditoriale Lamantica con la traduttrice Federica Cremaschi. Oggi si dedica prevalentemente alla narrativa fantastica. Nel 2021 il dialogo in versi In ricordo di Pier Paolo Pasolini viene pubblicato in greco con il testo a fronte italiano da Enipnio Publishing di Atene. Nel 2024 è tornato al teatro musicale con il testo di A chi non c’era, lettura-concerto del compositore Antonio Giacometti per il 50esimo anniversario della Strage di Piazza della Loggia. Tra le molte pubblicazioni ricordiamo le raccolte poetiche Incontro al tuono vicino e Onore ai vivi, i romanzi brevi Fermate la produzione e Veranio e gli album cantautorali Gli altri mai e Stadio successivo.

 


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