venerdì 23 maggio 2025

Il volto e la soglia

 
 "Ritratto femminile" attribuita a Eugenio Cecconi. Questo dipinto, risalente agli anni '30 del Novecento, è un olio su tela che ritrae una donna con uno sguardo assorto e una posa elegante. 
L’incontro tra alterità e immagine nell’arte contemporanea

C’è una soglia che nessuna parola può davvero attraversare: quella che separa me dall’altro. Eppure, proprio su quella soglia si gioca l’esperienza più radicale della relazione. Il volto dell’altro – fragile, esposto, irriducibile – è, come scrive Emmanuel Lévinas, epifania dell’alterità. Ma che cosa accade quando quel volto diventa immagine? Quando entra nello spazio dell’arte?

Là dove il volto si fa opera, l’arte incontra il margine tra visibile e invisibile, tra figura e significato, tra il dire e il custodire. È un confine fertile, perché non chiude ma genera. Alcuni artisti contemporanei hanno saputo interrogare questa soglia senza tradirla, lasciando che il volto rimanesse traccia, ombra, possibilità.

Penso a Christian Boltanski, che ha trasformato fotografie di volti anonimi in presenze vibranti di memoria e assenza. O a Marlene Dumas, i cui ritratti sfumati sembrano affiorare da un fondo emotivo in cui identità e desiderio si confondono. Penso ancora ai volti corrosi di Francis Bacon, che gridano e tacciono insieme, o ai volti scavati di Giacometti, ridotti all’osso, ma intensamente umani. In tutti questi esempi, il volto non è mai pura rappresentazione: è una soglia che chiede ascolto, non solo sguardo.

In un tempo come il nostro, segnato dall’eccesso visivo, dalla sorveglianza pervasiva e dalla smania di visibilità, ritrovare il volto come enigma e non come superficie da decifrare è un atto controcorrente. Un volto che non si presta al possesso, ma chiede rispetto. Che non si lascia ridurre, ma si offre come presenza silenziosa.

La poesia dell’opera nasce spesso lì, su questo margine: tra l’urgenza di dire e il dovere di tacere. Tra ciò che si mostra e ciò che resiste. E forse l’arte, oggi, ha ancora un compito etico prima che estetico: restituire al volto la sua inviolabilità, la sua sacra distanza.

Guardare un volto, davvero, significa sostare. Non comprendere, ma riconoscere. E ogni riconoscimento autentico – nella vita come nell’arte – è sempre una forma di poesia.

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