Se cerco un percorso che unisca la poesia alla fratellanza devo passare dalla pace. Dunque, per risvolto, finisco per essere tirato dentro la violenza dei conflitti e della guerra. Per triste ironia, una poesia di Gianni Rodari sul tema si chiama La luna di Kiev. All’interno ci sono due parole chiave: padroni (da eliminare) e terra (da tutelare). Insomma, attualissima, nella sua tensione contro la sopraffazione e in favore della cura verso le persone e la natura.
Il lemma latino da cui la parola fratello deriva, conduce alla parola in sanscrito bhratar, colui che sostiene e nutre, colui che cura.
Eppure, sin dall’origine remota dell’umanità, un’ombra segue il fratello. E la cura conduce un paso doble con la morte. Anzi, il consorzio umano si fonda sopra un fratricidio. Caino è il primogenito e con l’arrivo di Abele sperimenta per la prima volta il sentimento dell’usurpazione. Il fratricidio – frequente nei miti fondativi – è il simbolo dell’impossibilità di considerare naturale, assodata e stabile la solidarietà umana, persino consanguinea.
Il confronto con l’altro è sempre ambiguo e ambivalente, in perenne tensione, in equilibrio instabile. Abbiamo bisogno dell’altro ma non oltre il limite della difesa della propria identità. Questo limite René Girard lo individua nel sentimento “mimetico”, banalmente nell’invidia, il desiderio del medesimo oggetto è letale, fonte di ogni tragedia umana. Mentre Arthur Schopenhauer suggerisce un paradigma di comportamento, umanamente praticabile, con il suo apologo dei porcospini.
Parola tremante/ nella notte/ foglia appena nata/ nell’aria spasimante/ involontaria rivolta/dell’uomo presente alla sua/ fragilità/ fratelli. Ungaretti ha centrato questa nostra precarietà.
E così ha confermato come, in fondo, parole come fratellanza e poesia si incontrano solo quali esperienze trascendentali.
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