domenica 6 agosto 2023

UN LIBRO IN TRE PAROLE - Francesco Filia

 

Definire un libro, il proprio, attraverso tre parole è al tempo stesso un rocambolesco esercizio e una follia con un pizzico di narcisismo. Ci proverò. 

Il libro è Nella fine, Puntoacapo, 2023. La prima parola non può che essere fine. È una parola che mi ossessione, per il suo significato potente e ineludibile e che nella sua onnicomprensività può essere ridotta a luogo comune, come nella frase ‘Tutto finisce’. Sentivo la necessità di darle una luce, almeno per me, diversa, comprenderne la forza illuminante. L’idea centrale del testo è forse quella che solo guardando alla fine in maniera radicale e irrimediabile avrei potuto esperire  la vita e il mondo nella loro enigmatica esistenza e goderne a pieno. 

Quest’ultimo aspetto rimanda alla seconda parola su cui vorrei soffermarmi, la gioia, che è strettamente connessa alla fine e all’esperienza del tempo. Ho sempre ritenuto che la beatitudine sia qualcosa che attenga al divino, a ciò che è oltre il tempo, ai santi e agli dei, non ai mortali. Invece la gioia attiene a noi mortali, è  a partire dalla fine e dal nulla, dal pericolo tremendo e inaggirabile al fondo di ogni cosa che si può provare la gioia più intensa, quella di godere di un bene inestimabile, amore, bellezza, pensiero. La gioia è cogliere qualcosa, qualcuno, un frammento del tutto, nella sua irripetibile bellezza e goderne fino in fondo per un attimo, sapendo del suo e del nostro irrimediabile svanire. Una gioia che fa trenare i polsi perché nasce dal nulla come l’angoscia, di cui è lo speculare opposto, entrambe alimentandosi di visioni e silenzio. Con quest’ultimo, il silenzio, la poesia ha un rapporto privilegiato, ne proviene, appunto,  lo cerca, lo dice, senza mai poterlo essere, ma solo sentendone l’eco. Infatti se noi prestiamo ascolto al silenzio, anche in assenza di qualsiasi rumore, non lo troviamo, è sempre oltre, si nasconde, tutto quello che possiamo percepire è un ronzio di fondo, a volte cupo a volte leggero e quasi impercettibile. Ora posso chiarire a me stesso perché, quasi senza rendermene conto, questa parola ritorna in alcuni mie versi anche a distanza di anni. Sin da ragazzo questa cosa mi ha stupito e inquietato, in fondo i miei versi, anche se dicono altro, sono sempre un tentativo di sintonizzarsi con quel ronzio appena intuibile al fondo di ogni cosa, di ogni evento, al fondo dell’universo e del suo spaventoso  vuoto.

Francesco Filia


*

Cupo ronzio della fine. Abbiamo ceduto

a un graffio tra i roveti, al girotondo

infantile e sempre uguale, alla coda amputata

di una lucertola che fugge e si nasconde.

 

Scacciamo mosche e ricordi, la polpa rossovenata

della pesca. Un rito andato a male. Implacata

fame che nessun frutto sazia.

Siamo veri solo nei nostri gesti disumani.

(p.29)

 

*

E poi non puoi vivere senza ogni volta morire.

Hai cercato parole facili per dire

quel che facile è, ma difficile da dire.

Semplice invece è lo sguardo del silenzio.

Siamo solo nella fine.

Mai saremo infinito. Siamo soli nella fine.

(p.36)


 *

Eppure c’è un’antica e rassegnata gioia

nella tua risata aspra, sonora. Niente

importa: lo schiumare della birra nel bicchiere,

il muretto dipinto a calce su cui siamo seduti,

il buio del lungomare, il punteggiare remoto

delle stelle, il fuoco del vulcano alle nostre spalle,

l’arcano di ogni apparire. O forse tutto.

(p.53)

 

 


Nessun commento:

Posta un commento