Mi trovo in piazza Ferrarese a Bari. È un momento di grande movimento di persone. E dietro di me cammina una famiglia, composta da genitori e tre fratellini. Il più piccolo di questi viaggia nel suo passeggino. Il padre si rivolge al più grande e gli dice: “Da’ una mano al tuo fratellino”. Forte e chiara suona la risposta: “No”.
Ieri stavo seguendo un documentario in TV., di una leonessa
e i suoi cinque cuccioli. Si raccontava la loro storia, dalla nascita all’età
adulta. La mia attenzione è stata catturata dal rapporto di gioco e comune
toccamento tra la madre e i cuccioli e i cuccioli tra di loro. “Perché tra di
loro non c’è il “No” che ho visto tra cuccioli d’uomo?” Faccio la domanda a un gruppo
di amici. Susy mi risponde: I cuccioli della leonessa sono nati insieme. I fratellini
no. E quindi scatta in loro l’invidia.
L’Invidia di che cosa? Che cos’è l’invidia? Si potrebbe chiamare gelosia? Se lo chiedessi ai tre bambini, probabilmente il più grande potrebbe dirmi qualche cosa. Sarebbe una risposta esistenziale, tipo:” pensi sempre a lui!”. E cose simili. Ho trovato questa situazione negli adulti. Per esempio nella donna che vive continuamente l’essere tradita dal marito. Ogni giorno, ogni uscita. Sempre. E che significato può avere? Si capisce subito che non è un problema di gelosia. Né quella detta “normale”, propria delle coppie, né quella un po’ più seria tra persone che dubitano del proprio rapporto.
L’invidia nasconde un contenuto importante e serio. Dice che
mi manca qualche cosa per essere me stesso. E il rapporto con l’altro lo sento
essenziale per ricuperare ciò che mi manca. Fisicamente mi può mancare un arto,
l’organo genitale, perché non mi sono stati riconosciuti. Ogni volta che pongo
la mano per prendere un oggetto, vengo colpito. Se mi tocco, non ne parliamo.
Se voglio intrufolarmi tra quel posto sotto sotto la gola di mamma, guai a me. Le
cose sono molto più serie di queste brevi frasi. E’ successo qualche cosa nella
prima infanzia che mi ha ferito, o meglio, traumatizzato, tale che ha bloccato
il mio reale sviluppo. Significa che quella parte di me che doveva maturare in
quel momento, non ha raggiunto il suo scopo.
E ora da adulto, sento la ferita del vuoto, dell’impotenza, del vivere
una vita inutile e persa. Un uomo può vivere senza la vista, se questo handicap
è genetico. Ma lo può vivere se è stato direttamente provocato? Come una volta
in Cina obbligavano le fanciulle al piede piccolo, e quindi da adulte non
potevano più camminare autonomamente? Per l’uomo adulto era segno che non
sarebbe mai stato tradito, ma per loro cos’era?
L’invidia riguarda il formarsi dell’essere umano nei primi
anni di vita. In questo periodo si costruisce tutto sé stesso. Mentre cresce il
corpo si forma la mente con tutte le sue facoltà. Non esiste più l’anima creata
direttamente da Dio e le altre componenti frutto della materia corporale.
Teologicamente non si elimina Dio, ma si riconosce che l’essere umano non ha un
corpo, perché è il suo corpo.
Vi è oggi questa consapevolezza? La persona d’oggi conosce sé
stessa?
Riferito all’argomento che ho appena introdotto, negli anni
40 del primo secolo, vi era una non solo conoscenza, ma anche assunzione di
questi contenuti. Chi volesse averne una testimonianza, può leggere le tragedie
di Seneca. In quel periodo Seneca è un uomo adulto, frutto di una famiglia per
bene, e anche il più ricco di Roma. Più dell’imperatore Nerone. Nelle sue
tragedie il male che la donna e l’uomo portano dentro di sé – legato
all’invidia e alle sue “sorellanze e fratellanze- è così grande e reale, da
coinvolgere tutti: uomini, animali e piante. Noi siamo appena “interessati”,
qualcuno anche “turbato”, quando ci coglie la notizia di un femminicidio o di
uno stupro. O quando si parla di guerra e degli ultimi della terra. Ignoranti
delle cause intrapsichiche e psicosociali di tutto questo! Forse sbaglio?
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