Questo mese ospitiamo con piacere un’artista poliedrica: Nina Nasilli. Poetessa in lingua e in dialetto, Nina è un’affermata pittrice nonché direttrice di una collana di poesia della casa editrice Book Editore e autrice teatrale. Nina ci propone quattro testi dalla deliziosa raccolta Tàsighe! scritto in dialetto rodigino-polesano e un testo tratto dal suo ultimo lavoro Cronotopo Blue. Ci introduce il suo lavoro un’illuminante nota critica di Francesco Piga. Buona lettura!
Alfredo Panetta
DEL DIALETTO, LA VOCE
di Francesco
Piga
(estratto dalla
nota critica a Tàşighe!, Book Editore, 2017, II ediz. 2018)
Le parole dialettali, con le loro polivalenze, hanno la
capacità, che manca al lessico tradizionale,
di rendere pronunciabili entità e apparenze del mondo visibile, e
soprattutto le percezioni di aspetti nascosti della propria interiorità, ricordi, sentimenti, emozioni. Il poeta per avvalersi di
questa “lingua immaginifica”, per farne uno strumento unico, un linguaggio personale,
deve recuperarla ed elaborarla. Nina Nasilli è già autrice di vari libri di liriche in
italiano quando riascolta in ambito famigliare la lingua vernacolare, sentita
parlare negli anni dell’infanzia; se ne appropria dunque in
modo naturale, e la sottopone ad un accurato lavoro di ricerca filologica,
giungendo tra l’altro ad una grafia più fedele possibile all’oralità, come attestano le sue annotazioni di lettura.
È
in sintonia con gli altri poeti anche nel considerare il dialetto la lingua di
un tempo astorico, prelogico, in cui sussiste ancora un rapporto tra l’essere, le cose e la parola, ormai smarrito per l’uomo moderno. E al tempo stesso nel suo uso del vernacolo c’è la difesa di una identità storica e individuale, di una tradizione culturale e di
una coralità.
Con il dialetto della confidenza, con quelle parole
vernacolari in cui la sonorità vivifica le cose e dà maggior consistenza al significato, l’Autrice racconta sottovoce, si pone e pone interrogativi
esistenziali, domande che rimangono senza risposte, esterna frammenti di
ricordi che riaffiorano fin dall’infanzia
e di sensazioni lontane che tornano alla mente, delinea figure e ambienti di un
tempo perduto. Attraverso il linguaggio vernacolare la realtà è travisata, assume aspetti surreali:
l’erba e il fagiano si parlano e si
guardano negli occhi, mentre le bucce di mela giocano con i pezzetti di
arancia; e così i desideri, “e mi dèsovorìa un cusìn de buro / e graspi
de ua / sόto ea testa”.
In questo stravolgimento i sentimenti accomunano il
soggetto, le cose e le forme della natura, li uniscono in uno stesso destino: è disperata la rosa bianca che, nella sua difficile
sopravvivenza fuori stagione, vorrebbe un po’
di attenzione ma trova soltanto indifferenza. E così il soggetto con una grande voglia di vivere, nel suo
sentirsi inadeguato tra gli altri, comunque nel posto sbagliato, ha bisogno di
affetto, mentre è sempre più difficile condividere le proprie emozioni. Anche la forma
dialogica di alcuni testi, con la presenza di personaggi che fanno pensare ad
una scena teatrale, mostra la volontà
di ripristinare la perduta dualità,
il necessario rapporto umano, di sentimenti e di pietas, di espressioni vitali e creative atte a dare un senso e a
riempire perfino gli spazi. Questa forma dialogica rimanda agli interessi artistici che l’Autrice ha per il
teatro e alla scrittura di Parabola d’amore (Book Editore,
2012), un racconto in versi per il teatro, dove è postulata un’intesa spirituale e
culturale al di là del contingente e del reale, dove è la parola a creare
la scena al di là della precarietà e della morte. Tratti della concezione d’amore, della
parabola sentimentale di Marina Cvetaeva e Rainer Maria Rilke, risuonano nei
versi dialettali di Nasilli.
Infatti, la compresenza di elementi e
contenuti che intercorre tra le
varie raccolte di poesie e tra le liriche e le opere pittoriche, un tutt’uno che contraddistingue l’espressività artistica di Nina Nasilli, è da tener conto per comprendere meglio le sue composizioni dialettali. È necessario risalire e seguire dagli inizi un iter artistico su più piani che convergono e si fondono, amplificando
significati e significanti, simboli e messaggi, permettendo una visione più profonda, essenziale. La sua arte poetica, in sintonia con
quella pittorica, ci dice la contrastante disposizione d’animo tra la gioia di vivere e le inquietudini, la
meraviglia di fronte al creato e l’apprensione
per il mistero delle cose, il dolore della condizione umana. Le immagini
letterarie e pittoriche e i riferimenti diretti a scrittori, pittori e
musicisti ci portano ad una ben precisa dimensione culturale e contribuiscono a
chiarire il complesso e poliedrico intersecarsi di espressioni e di motivi. È sufficiente citare alcuni autori tra quelli stranieri,
Kafka e Pessoa, Eliot e Mandel’štam, Celan e Bernhard, per capire che
siamo ai livelli più alti del pensiero e della scrittura.
Tutto ciò che le parole vernacolari esaltano
in un alterato flusso di coscienza, i pensieri e i ricordi, i sentimenti e le
cose scaturite da quei sentimenti, delinea un ritratto dell’Autrice che nell’evidenziare i valori del passato sottende scelte di vita,
ferite interiori e una visione negativa di certi aspetti del mondo attuale. L’uso del dialetto, con cui amplia la propria espressività, le dà modo non soltanto di approfondire
tematiche precedenti ma anche di andare oltre, nel dire della propria interiorità, altri pensieri, ulteriori riflessioni.
I versi in dialetto di Nasilli si situano in una dimensione
letteraria dove vernacoli alterati si incastrano in maniera diversificata,
rendendo particolarmente complessi lo stile di scrittura e i risultati poetici.
Sono forme moderniste composite, come si direbbe meglio in architettura,
costruzioni fatte di elementi diversi, proprie di un’idea linguistica tipica del postmoderno.(…)
E dunque,
la lingua vernacolare che Nina Nasilli usa, (definendola “un nucleo rodigino-polesano con innesti patavini e talora
anche chioggiotti”), così composita per la varietà
di voci ascoltate da famigliari, amici, abitanti dei luoghi, rende nuova e
originale questa sua voce poetica, ponendola,
al tempo stesso, nel prezioso e particolare contesto letterario di una zona
regionale molto ampia.
(collana “foglie e radici -
Biblioteca del vernacolo”, Book Editore, 2017, II ed. 2018)
sto morbìn de vìvare
cosa’lga da èsare?
cosa xèo?
sto ciaréto ch’el ne piaşecusì tanto
ca no ne par mai ora da morire ...
questa
voglia di vivere / cosa deve essere? / cos’è? / questo po’ di chiaro che ci
piace così tanto / che non ci pare mai che sia ora di morire ...
elsóe se scursa
elsóe se scursa
e’l se şlonga
come che’lghepiaşe
ma noàltri come xè che fémo
a starghe drio?
dime ti ...
sémosenpredriocórare
e biastemàre’ltenpo:
se invéseeovardàsimodrito
in t’elmuşo
no te pare che anca łù
elcominsiarìa a vardàrne
e a portàrrispèto?
il
sole si accorcia
il
sole si accorcia / e si allunga / come gli piace // ma noi come facciamo / a stargli
dietro? / dimmi tu ... / stiamo sempre correndo / e bestemmiando contro il
tempo: / se invece lo guardassimo dritto / nel muso / non ti pare che anche lui
/ comincerebbe a guardarci / e a portare rispetto?
taşàndotaşàndo ...
taşàndotaşàndo ...
eodişévamé nona
e noàltrieocapìvino
che no xèra ea stesa roba
del tàşaretaşéndo
chequeoxèra par tuti
e tuti i dì
no ... taşàndoxèra par dirne de un taşére
che vién prima d’un miracoło
col déoschisà sua boca a far nacróşe
un taşére che no xèsoło dei làvari
ma un tàşare dea pansa, dejoci
e dee man:
par far parlare e vìsarecóchea pansa
ch’j oci e chee man
par calcòsa che riva piànpianéto
ma no te tepòiscóndare
o scanpàre:
eelxèbèo ma el fa anca un fià de paura ...
come s’ea fuse na lengua nova
ca ghetocasołoaedòne e ajòmani
inamorà
“taşàndotaşàndo” [“tacendo tacendo”] ...
“taşàndotaşàndo” [“tacendo tacendo”] ... / lo diceva
mia nonna / e noi lo capivamo / che non era la stessa cosa / del tacere tacendo
/ che quello era per tutti / e tutti i giorni / no ... “taşàndo” era per dirci
di un tacere / che vien prima di un miracolo / col dito schiacciato sulla bocca
a fare una croce / un tacere che non è solo delle labbra / ma un tacere della
pancia, degli occhi / e delle mani: / per far parlare le viscere con quella
pancia / quegli occhi e quelle mani // per qualcosa che arriva pian pianino /
ma non puoi nasconderti / o scappare: / ed è bello ma fa anche un po’ di paura
... / come se fosse una lingua nuova / che tocca solo alle donne e agli uomini
/ innamorati
ghexènaànaradriocoàre
(a
Eugenia e Marcello)
ghexènaànaradriocoàre
dedrìo dee roşe
ga da èsarghe un putìn che
pianže
visìn al caşón
e mi dèsovorìa un cusìn de
buro
e graspi de ua
sóto ea testa
par scoltàrmèjo cosa che i se
dişe
l’erba e’lfagiàn
có ch’i parla stréto tra de
łori
e i se varda in t’j oci
tra napièra e st’altra
visìn al fòso
’ndóeche’eşguse de pómo e
žoga
coi tochéti de narànsa
mèži marsi
prima da darghe da magnàre ai
sórži
dime n’altra volta che te me
vòibèn
stéa del mé cuore
che senò me par da morire
c’è
un’anatra che sta covando / dietro le rose / dev’esserci un bambino che piange
/ vicino al casone // e io adesso vorrei un cuscino di burro / e grappoli d’uva
/ sotto la testa / per ascoltare meglio cosa si dicono / l’erba e il fagiano /
quando si parlano da vicino tra di loro / e si guardano negli occhi / tra una
pietra e l’altra / vicino al fosso / dove le bucce di mela giocano / con i
pezzetti di arancia / mezzi marci / prima di dar da mangiare ai topi // dimmi
un’altra volta che mi vuoi bene / stella del mio cuore / che altrimenti mi pare
di morire
ea xèranaroşa bianca
(a mia madre, rosa candida)
ea xèranaroşa bianca
ea stava fòrastajón
in mèžo al canpo
incandìo dal sóe
s’ea luşe ea podésefruàre l’erba
e i fiori
ea sarìastàmasipà anca da quea
- tanta ghe ne xèra a mežodì
e invése, più ciara dea luna
de note, più bianca del late
che ciucia i putèi
chéaroşa ea se vardàvarente
inmatonìa
che no ghe fuse gnanca un can
a incòržarse de quanto ch’ea fuse bèa
e fresca
- ’ncoramasaindrìo
pa’l tramonto de tuto
fin e łàgremeghevegnéva
sui sólàvari
vèrti al vento
un can ...
un can de carne e osi ...
ma cusìsfinìo dal caldo
che no’lgagnancaalsà’lmuşo
ea, s’ea gavésepodéstosigàre
ea gavarìasigà
e ’łora, ’ncoragióse de mae:
łàgreme che e pareva nabróşema
- ma inbastardà
s’ea gavésepodésto pregare
ea gavarìamostràałaMadòna
e só man
j oci, e récie
par dirghe
“tòteste robe qua, par carità!
ma che mi no gàbia più da sentirlo
sto maedéto
siènsio dee vrespe e dejoşèi
e ca no gàbia da védare
sensaèsarvardà
ca no gàbia da scoltàre’ltenpo
del canpanìe ...
tòte i médéi
tòte i méoci
tòte e mérécie:
tócame ti, Madonina mia
còpame ...
chevìvaresènsa che nisùneosapia
xèpèžo che èsarstàligà e pistà”
ma ea roşano’apodéva pregare
no’aconoséva Dio
né i Santi
e no’agavéva man
e oci
e récie
ea savévasołoşbasàre ea testa ...
ea roşa ea gaşbasà ea testa
un oşeìn col pèto tuto róso
che’lxèra in sérca
de na roba bèa
par podérsegonfiàr tuto
e cantàr ea festa de chel dì
e’lghepasàva da visìn:
ma ea, tuta cucià ch’ea xèra
no’a se gaincòrto de łu
e del sómorbìn
e łu, sensagnancavédarla
sito sitoelxèxołà via ...
e s-ciao!
era una rosa bianca
era una rosa bianca // stava fuori stagione / in mezzo
al campo / incendiato dal sole // se la luce potesse consumare l’erba / e i
fiori / sarebbe stata rovinata anche da quella / - tanta ce n’era a mezzogiorno
// e invece, più chiara della luna / di notte, più bianca del latte / che
succhiano i bambini / quella rosa si guardava intorno / impietrita [intronata]
/ che non ci fosse neanche un cane / ad accorgersi di quanto fosse bella / e
fresca / - ancora troppo indietro / per il tramonto di tutto // perfino le
lacrime le venivano / sulle labbra / aperte al vento // un cane ... / un cane
di carne e ossa ... / ma così sfinito dal caldo / che non ha neanche alzato il
muso // lei, se avesse potuto gridare / avrebbe gridato // e allora, ancora
gocce di male: / lacrime che sembravano una brina / ma bastarda // se avesse
potuto pregare / avrebbe mostrato alla Madonna / le sue mani / gli occhi, le
orecchie / per dirle / “prenditi queste cose qua, per carità! / ma che io non
debba più sentirlo / questo maledetto / silenzio delle vespe e degli uccelli /
e che non debba vedere / senza essere guardata / che non debba ascoltare il
tempo / del campanile ... / prenditi le mie dita / prenditi i miei occhi /
prenditi le mie orecchie: / toccami tu, Madonnina mia / uccidimi ... / che
vivere senza che nessuno lo sappia / è peggio che essere stati legati e
pestati” // ma la rosa non poteva pregare // non conosceva Dio / né i Santi //
e non aveva mani / e occhi / e orecchie // sapeva solo abbassare la testa ...
// la rosa ha abbassato la testa ... // un uccellino col petto tutto rosso /
che era in cerca / di una cosa bella / per potersi gonfiare tutto / e cantare
la festa di quel giorno / le passava vicino: / ma lei, tutta chinata che era /
non si è accorta di lui / e della sua voglia / e lui, senza neanche vederla /
zitto zitto è volato via // e addio!
Da CRONOTOPO BLUE
(collana
“L’oro dei suoni”, Proget Edizioni, 2021)
se i forestieri i xè “piovésti”
ti, in t’elmé cuore, te xèrinevegà:
parché ea piova capita ch’ea capita
ma ea neve manco (ea capita, sì
ma manco)
- e po’ ea xè bianca
se i forestieri
sono “piovuti” / tu, nel mio cuore, eri nevicato: / perché la pioggia capita
che capiti / ma la neve meno (capita, sì / ma meno) / - e poi è bianca
Nina Nasilli, rodigina di nascita, vive a Padova, dove si è laureata in Lettere classiche e dove ha avviato il laboratorio-studio “Atelier Interno 7”.Determinante nel 1996 l’incontro intellettuale con Ottiero Ottieri. Ha ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il Premio ciceroniano “Città di Arpino” (2014). Dirige per Book Editore la Collana “foglie e radici - Biblioteca del vernacolo”. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni e cartelle d’arte. Tra i libri di poesia, per i tipi di Book Editore ha pubblicato TRA.DIS.CO trame di disprezzo coerente e licantropo (2010); Parabola d’amore (2012); al buio dei nodi anfratti (2016, Premio Internazionale “Marineo”), Tàşighe! in dialetto veneto, 2017, (Premio speciale del pubblico “Pontedilegno” 2018; Premio “San Vito al Tagliamento” 2018-19); Prossimità (2019); ha inoltre curato, tradotto dal latino e illustrato con disegni originali il volume Dittochaeon di Prudenzio (2018) e ha curato l’edizione di Gionmodine - Nel giorno natale di Tagore (2022).Per la prestigiosa collana di poesia “L’oro dei suoni” nel 2021 è uscita la sua raccolta Cronotopo blue (Proget Edizioni). È anche pittrice, e ha tenuto importanti mostre in Italia e all’estero.
Nessun commento:
Posta un commento