Credo che in tanti possano concordare che la composizione di una silloge poetica sia un esercizio intellettuale totalizzante. Aggiungere e togliere poesie, aggiungere e togliere versi, spostare, riscrivere, cancellare, riprendere...sono tutte azioni note, fini al raggiungimento dell’opera – mai finita - che noi chiamiamo “raccolta poetica”.
Volendo
descrivere la mia ultima creatura poetica con tre parole, partirei sicuramente
dal luogo fisico per eccellenza, fulcro dell’intera raccolta: Stazione.
Sono state
proprio le “stazioni fisiche”, i luoghi di passaggio (porti, aeroporti,
terminal) che mi hanno ispirato gran parte delle poesie. È lì che osservo
l’autenticità della vita nella sua piena vulnerabilità, precarietà,
transitorietà. Attraverso le emozioni degli altri, sintetizzo anche i miei sentimenti
così simili a chi in quel momento incrocia il mio sguardo o attraversa il mio
stesso destino.
Inoltre, la stazione è intesa anche come un luogo simbolico, un rito di passaggio da una fase della vita all’altra, da un vissuto all’altro. In tal senso sono state tante le stazioni della mia vita, dove ho gravitato a volte nell’attesa di un cambiamento significativo, altre per fuggire e per non farvi mai più ritorno. La stazione è dolore, sudore, disagio, amore, speranza e fede. È il mio logos poetico della terra di nessuno, il mio Qui et ora dove tutto è possibile: chissà cosa accadrebbe se all’improvviso/si unissero tutti i fusi orari/se così, per gioco, tutte le mete si fossero dirette/nella stessa Stazione.
Nelle stazioni
infatti, transitano tanti “naviganti”, l’uomo e il suo bagaglio di vita,
a volte molto pesante per essere trascinato. Potrei dire che tutto il ritmo di
questa silloge è tutto un “ante”, un divenire sofferto e sognato allo
stesso tempo da coloro che si possano riconoscere come: migranti, naviganti,
itineranti/viandanti.
Orfano di
bussole/ogni navigante assorbe l’orrore /alla luce del sole /ognuno calpesta
l’ombra di chi può.
Infine, non ci può compiere nessun viaggio reale o poetico, senza che ci sia il fuoco dell’”attesa” che lo alimenta. La perpetua tensione del verso che prende forma e vita, l’attesa di un cambiamento inevitabilmente possibile, oppure l’attesa di un semplice abbraccio che in qualche modo ci ricompone: quanti vinti abbracciati/dietro una porta di promesse/ non si riesce/né a vincere, né a perdere/con te tutto è vita. È nell’attesa di un prossimo passo che si prendono le decisioni o si compiono le azioni che non possiamo più rimandare. L’attesa è la nostra comfort zone dove possiamo scegliere di liberi di agire o semplicemente fermarsi e godere del tempo che ci è concesso.
Ho visto la vita passarmi davanti
in una stazione deserta del Sud
disinvolta si allontanava
sciogliendosi nella nebbia
ho
sentito tante melodie sconosciute
comporre il mio mondo
e
quelle conosciute il mondo degli altri
a che servono gli strilli, i gemiti, le
campane
su
queste rotaie vuote
quando delle bambole ubriache
ballano e ridono a squarciagola
dalla testa ai piedi
scuoto la polvere e mi incammino
.......
É difficile tenere vivi i ricordi,
tra cartoline e scatoli vari
la polvere della domenica che giace
sovrana
sui boccioli di carta
strofino le palpebre e respiro
profondamente
il passo dello scarafaggio
e lo sciame delle coccole ad un neonato
sorrisi appena accennati appesi sul gelso
verde
dove il nonno poggiava il falcione e il
cappello
e l’aria profumava di trifoglio bianco.
Non è difficile, invece, riconoscere il
dolore
dietro gli sguardi stanchi
dove la sofferenza viaggia come una massa
amorfa
appoggiata su stive di valigie
dolori arrugginiti sulle corde delle navi
addii soffocati
abbracci sospesi, promesse calpestate
sogni cullati con la ninna-nanna
di una madre in lacrime
distinguo le melodie sotto gli auricolari
che
creano ricordi e graffi
......
Nella perfetta bellezza del cimitero
mi conforta il cancello aperto
sulla cui soglia non si ha paura
né dei morti e né dei vivi.
L’attesa è l’unico nodo
verso la brezza mattutina
quanto ci vorrà ancora per poter
benedire questa fronte
e lenire le labbra screpolate
la mia postura sbagliata
registra il doppio del carico
dei cammini paralleli
non so se bramare di più l’assenza
o una vita senza ricordi.
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