Hermes . O “del passaggio dal
buio alla luce”
1.- Quando Zeus si rese conto che non poteva seguire tutti
i suoi regni e tutte le diatribe tra gli Dei, decise di concedere ad Hermes la
possibilità di spaziare nei suoi vari dominii. Per questo Hermes (Mercurio per
i Romani) diventò Re dei confini, l’unico a poterli superare. Allo stesso modo
diventò Dio della soglia e signore di tutte quelle fasi della vita in cui siamo
ad un passaggio.
Hermes è però anche colui che accompagna le anime dei morti
all'Ade, meritandosi per questo l'epiteto di Psicopompo ("accompagnatore, guida
delle anime"). Anche in questo caso la sua funzione è doppia: riaccompagna
quei pochi che hanno avuto il permesso di ritornare alla luce, come Persefone o
Euridice.
Passaggio quindi dal buio alla luce.
Nell’ Iliade, nel Canto XXIV Hypnos (il Sonno) scompare e
la sua funzione viene assunta da Hermes: “e prese la verga con cui affascina
gli occhi degli uomini, di quelli che vuole e può svegliare chi dorme” (Il. XXIV
343-344). Il “risveglio” finirà con l’essere nell’ Odissea il vero motivo
dominante. Risveglio all’immaginario o al reale L’ultimo Canto dell’Iliade sta
sotto il segno di Iride ed Hermes, figura del passaggio, in una moltiplicazione
e accelerazione di messaggi, dall’Olimpo agli abissi del mare, dal mare alle dimore
degli uomini.
2.- Il lessico del risveglio risulta particolarmente
attuale per un confronto con le urgenze del nostro tempo. In particolare, in
quel decisivo momento in cui si legano “il sonno”, “il sogno”, “il risveglio”. Nel
“passaggio” dal buio alla luce.
Il lessico del risveglio si lega all’idea di un evento che,
irrompendo sulla scena congelata del nostro tempo, interrompe la continuità
oppressiva di un progresso immaginato come infinito e senza misura e limite.
Se occorre richiamare al risveglio, è perché il nostro
presente è il tempo di un’umanità sospesa in una notte, le cui tenebre
onnipresenti e incombenti trovano nella narcolessia del consumismo la figura a
loro complementare.
Se non c’è possibilità di contrapporre l’ordine del giorno
e l’ordine della notte, se non in forza di una violenza, è necessario far
valere una doppia esigenza: da un lato di non cedere alle tenebre, dall’altro
di non rinunciare alla potenza notturna. Come Benjamin ha mostrato in alcune
pagine magistrali, è nell’ora del risveglio che troviamo le tracce per
chiamare in vita un’altra visione. Del resto, uno degli scrittori che Benjamin
sentiva più affini, Marcel Proust, ha posto l’accento sul momento in cui la
coscienza torna, il dormiveglia. Il valore delle soglie va mantenuto, non
le si può né cancellare, né farne degli astratti, ma ingombranti confini. La
soglia non è mai l’interruzione, ma semmai il passo a vuoto, il vuoto che il
passo deve compiere perché ci sia passaggio. Scrive Donatella Di Cesare (in “Sulla
vocazione politica della filosofia” – Ed. Boringhieri 2018) : «Il limite tra
sonno e veglia non deve essere consumato. Il pericolo è votarsi a un universo
onirico, crogiolandosi nei sogni. Il risveglio, però, non è quello prodotto
dalla ragione, complice il mito virulento del progresso».
3.- Le notti non sempre sono placide e serene. A volte
insonni, a volte tormentate da preoccupazioni, incubi, paure.
La speranza in certe ore notturne è proprio come morta.
“Perché ci si alza allora la mattina?” chiede il filosofo Ernst Bloch nella sua
conversazione del 1964 con Theodor W. Adorno, da lui chiamato amichevolmente
Teddy (Qualcosa manca… sulla contraddizione dell’anelito utopico contenuta
in Ernst Bloch, Speranza e utopia, Conversazioni 1964-1975, a cura di R.
Traub e H. Wieser, Mimesis, Milano 2022). Quali sono le radici metafisiche di
quella folle speranza in un giorno migliore senza la quale l’esistenza sarebbe
intollerabile?
La conversazione, ben analizzata da Rocco Ronchi in un
articolo apparso su Doppiozero il 27.12.2022, vede Bloch attestarsi sul “qui-e-ora”
affidando sostanzialmente il “non-ancora” all’ideale che regola l’azione.
Allora perché continuare a sperare? Perché alzarsi alla
mattina? Curiosamente a fornire elementi per una risposta ancora positiva a
questa domanda è l’amico Adorno, il maestro del pensiero critico-negativo.
Guidato dalla sua incontenibile vis dialettica, ma anche dalla
simpatia che provava per Ernst e per il suo anelito utopico, Teddy va subito al
dunque, vale a dire all’elemento propriamente scandaloso e raramente enunciato
del principio utopico.
“La domanda sull’abolizione della morte”, dice, è il “punto
nevralgico” dell’utopia. L’utopia rivoluzionaria è molto spinoziana (e,
aggiungerei, per niente critico-negativa…): è l’utopia di una vita che vive,
qui e ora, e che della morte, del negativo, del nulla, non ne sa proprio nulla.
“Lo possiamo constatare molto facilmente – continua Adorno –, basta sollevare
qualche volta la questione della possibilità di abolire la morte con i
cosiddetti «benpensanti»”, la reazione sarà la stessa che si avrebbe “se si
lanciasse un sasso contro un commissariato di polizia”. L’indignazione è
infatti generalizzata, non solo per l’enormità della pretesa avanzata, ma
perché ad essere minacciato è un principio d’ordine, che nel memento mori ha
il suo cardine metafisico.
Perché allora ci si alza la mattina? Perché ci si affida
ciecamente alla potenza irrazionale della “speranza” nonostante le lezioni di
duro realismo che la notte ci ha impartito? Perché l’oscurità dell’attimo
vissuto, alla quale, in quanto viventi, non possiamo sottrarci, si dice
contemporaneamente in due sensi. Da un lato è certamente la latenza del
possibile, la tensione verso il futuro del suo compimento (verso il “tempo
ritrovato”), che Bloch ha meravigliosamente descritto nei suoi libri
(soprattutto in Experimentum mundi del 1975). “L’immediato è il suo
trascendersi, è il suo protendere verso una pienezza di soddisfazione, che
molto spesso sarà mancata. L’immediato è storia in nuce. Dall’altro, però,
l’oscurità dell’attimo vissuto è, proprio a causa della cecità al senso che lo
caratterizza, l’indice e la certezza di un radicamento nell’essere che niente
potrà scuotere.” (Ronchi, cit.)
La speranza, nettamente superiore alla paura, è «sogno a
occhi aperti», «sogno in avanti», nel senso dell’anticipazione di ciò che non è
ancora dato e che Bloch sviluppa nella direzione di una vera e propria
«ontologia del non-essere-ancora». Come nel famoso frammento di Eraclito “chi
non spera l’insperabile non lo scoprirà, poiché è chiuso alla ricerca, e a esso
non porta nessuna strada, perché questo accada”.
4. Dal buio alla luce. Dalla notte al giorno. Dal sonno al
risveglio. Ma cosa resta al risveglio, nel momento in cui ci si concentra sullo
spazio presente? Il ricordo del Sogno. Ma ciò che ricordiamo non è la sua vera immagine,
ma la sua traccia nello spazio del presente. Il ricordo presente interpreta il
sogno.
“Il nuovo metodo dialettico della scienza storica si
presente come l’arte di esperire il presente come il mondo della veglia cui
quel sogno, che chiamiamo passato, in verità si riferisce. Adempiere il passato
nel ricordo del sogno”. (W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, p. 508).
La Storia si compie nel mondo della veglia, nel mondo della
luce.
Come dice Mircea Eliade “ Si direbbe che il Sole predomina dove,
grazie ai Re, agli eroi, agli Imperi, la Storia è in cammino”.
Da qui un nucleo essenziale nel pensiero di Benjamin
contenuto nelle Tesi di filosofia della Storia. TESI 6 "Articolare
storicamente il passato non significa conoscerlo 'come è propriamente stato'.
Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell'istante di un
pericolo".
Compito del nuovo presente, il cui risveglio è la
condizione necessaria per il superamento del sogno della notte, è portare ad
apparenza l’ultima speranza che il passato gli ha portato in consegna. Ma si
tratterà allora di un “passato nuovo” (e qui mi cito perché è una espressione
che ho usato in un verso dei Frammenti di Massimiano edito nel 2007) .
5. Ho evocato Hermes e la mitologia per parlare di
“passaggio”.
Egli ancora sovraintende il passaggio dalla notte al
risveglio e del passaggio delle anime all’Ade – ma è anche l’unico che può
riportare le anime dall’Ade alla Luce – come con Persefone.
E mi permetto di concludere con un mio frammento inedito da
un lavoro che reca come titolo ῎Eως , la Dea dell’Aurora e come sottotitolo “quando
verrà il passato”.
1.
Arrivati in cima
incontrammo
l’infanzia della terra.
Ci dissetammo
ai serbatoi di acqua
della luna.
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