Questo
mese continuiamo il nostro viaggio in Emilia, provincia di Ferrara per la
precisione. Laureato in Storia medievale, Edoardo Penoncini ha pubblicato nove raccolte
di poesia in lingua italiana, quattro in dialetto ferrarese. E’ interessante
annotare come alcuni autori dialettali restino integralmente fedeli al loro
idioma materno, mentre altri, come Edoardo, amino spaziare anche nella
meravigliosa lingua nazionale. A conferma della versatilità nata da desiderio
di ricerca, non solo linguistica, di alcuni poeti. Presentiamo il lavoro di
Edoardo attraverso un’approfondita recensione al suo ultimo libro in dialetto
scritta da Patrizia Sardisco, valente autrice in dialetto siciliano che
presenteremo in uno dei prossimi numeri della rubrica. In coda alla recensione
troverete 3 testi con traduzione da La Bléza- La Bellezza, opera edita da
Puntoacapo e curata dal critico Manuel Cohen. Grazie a tutti e buona lettura.
Alfredo
Panetta
Recensione
di Patrizia Sardisco,
Edoardo
Penoncini, La bléza-La bellezza
Nota
di Manuel Cohen, Puntoacapo 2022
In
CIRCOLARE POESIA, NUMERO VIII MARZO 2024
Sezione
Nella lingua di latte, a cura di Patrizia Sardisco,
pagg.
22-23
Affermare
che il dialetto in sé sia respiro, timbro e calco di memoria, non offre
certamente il destro acontroversie: e nella pronuncia poetica della lingua
materna, l'antico strumento è come ripreso e restaurato, attualizzato e
vivificato, con quel gesto di delicata, riflessiva cura capace di lasciare
intatta e ben visibile la preziosa patina del tempo.
Assai
meno pacifico e conciliante appare, invece, il ragionamento intorno ai temi del
dire poetico dialettale, all'oggetto del suo discorso, così di sovente
accerchiato e circoscritto da un materia lessicale che appare come grezzo, non
sufficientemente raffinato e affilato, impoverito in quantità e qualità
espressiva anche dai decenni d'assedi e incuria, e in definitiva giudicato
inadeguato alla complessità del tempo presente e al salto in lungo delle sfide
future.
L’insistita
identificazione del dialetto come lingua della realtà ne ha mostrato a lungo e
quasi esclusivamente gli aspetti di concretezza, di adesione puntuale e senza
scarto all'oggetto che nomina, insieme a quella immediatezza di irriverente
veracità che la rendono consona, tutt'al più, a "una poesia giocosa,
ridanciana, non di rado greve, didascalica" (Penoncini, 2022, pag. 71).
In
ombra e talora rimossa, dall’altra parte, giace inespressa e dubbiosa la
potenzialità comunicativa del dialetto per ciò che attiene all’esperienza
interiore ed estetica, la sua capacità di nominare anche i sentimenti più
profondi, le sfumature emotive, le astrazioni verticali del pensiero.
Convintamente
in direzione opposta si profila e si offre al lettore l'ultima raccolta di
Edoardo Penoncini, La bléza(La bellezza). Nota di Manuel Cohen, puntoacapo
2022, che allaccia la squisita musicalità della parola di terra estense al tema
programmaticamente dichiarato nel titolo - tema astratto e concretissimo al
tempo stesso, e caro e dibattuto da pensatori, artisti e poeti d’ogni tempo e
luogo - e lo declina come canto di memoria e speranza: è dalla triangolazione
illuminante e feconda tra poesia, lingua e tempo, sembra voler dire il poeta,
che la Bellezza può essere postain giusta luce, soggetto di rinnovata
attenzione, oggetto di più lucida tutela.
Quarta opera in dialetto del poeta ferrarese, "libro vero e proprio,
compiuto(...) perfetto nella proposta,nell'articolazione o costrutto",
come puntualmente avverte Manuel Cohen nella ampia e felice Nota che ne
introduce le pagine, La bellezza di Edoardo Penoncini sembra
raccogliere più di un testimone, più di una sfida: se, da un lato,come
suggerisce ancora Cohen, la silloge si confronta pagina dopo pagina sul senso
stesso della poesia e della bellezza,dal canto mio osservo che la scelta del
dialetto rivela e indica una traiettoria, un orizzonte, un sogno.
La
scelta del dialetto come lingua di poesia dice a doppio filo di sé, della
stessa scelta e della stessa poesia, ed è di per sé stessa dichiarazione di
poetica.
La
ricerca certosina, l'inesausta istanza esploratrice, si traducono sul piano
formale nell'iterazione in posizione incipitario, all'interno di gran parte dei
28 testi che compongono la silloge, del sintagma che coincide con il titolo -
La bléza, La bellezza -, significativamente in minuscolo,come voler alludere
alla sua onnipresenza umile, comune ("ovunque si vada c'è lei"), così
come i felici accumuli,le "tante cose" che via via ne svelano la
composita essenza, sembrano dire del molteplice che è al contempo scrigno,segno
e pegno dell'uno, dell’universale, suo contenitore e suo contenuto ("una
musica/che mi restituisce i brividi di tutto il mio tempo").
Né può
ignorarsi l’occorrenza del richiamo appassionato,talora persino struggente, a
ill paròll, alle parole: dette, scritte, cantate, in ogni stagione intime
compagne e testimoni fedeli, chiare depositarie di un"patrimonio di un
tempo pietra su pietra".
La
bellezza è una promessa di felicitò,sosteneva Stendhal. Ed è proprio
come impegno e come sguardo rivolto al futuro che la bellezza
dev’essere preservata, custodita, ascoltata nella sua accorata richiesta
d'amore: "per tutti i bambini seduti su una panchina". Il tempo,
qui,infatti, è ben lungi dall'esser soltanto memoria, sguardo di nostalgia: è
ciò cui la bellezza può dare scacco ("ha una forza che vince anche il
tempo"), facendo largo a un'altra primavera collocata fuori tempo, oltre
ogni tempo. Nei versi che compongono gli ultimi testi della
raccolta, sfrangiata la compostezza delle doppie quartine (di endecasillabi,
nella versione dialettale, di versi liberi, ipermetri per la maggior parte,
nella traduzione che lodevolmente non difetta anch'essa in ricerca di
musicalità ed equilibrio), nel contrarsi dei versi in un tono più intimo, lo
sguardo del poeta diviene visione,agnizione, il compiersi di un sogno, il
germogliare di una distanza più consapevole e rasserenata. E"poi che
accada quel che domani deve accadere/ la bellezza resterà anche dopo questi
giorni”.
10
La
blézaj’èillparòll diti da ƞ’vèć
ch’j’abràzatut’illstaśón
d’la so vita
na
canta ch’la cànta la so speraƞza
a
ƞ’putìƞcoƞlusantà s’nabaƞchéta
la
bléza l’è n’iƞsunîintj’òć d’uƞvèć
ch’i córadré
a la Fata Turchina
ch’la
fàgavìvardòpadlu al dialèt
par
tuti i putìƞsantà s’nabaƞchéta.
10
La
bellezza sono le parole dette da un vecchio
che
abbracciano tutte le stagioni della sua vita
un’aria
che canta la sua speranza
a un
bambino seduto con lui su una panchina
la
bellezza è un sogno negli occhi di un vecchio
che
rincorrono la Fata Turchina
perché
faccia vivere il dialetto dopo di lui
per
tutti i bambini seduti su una panchina.
17
Quandj’òcj’intórbiaj’òmbar
e i peƞsiér
a nàs
tuta la bléza d’la zità:
nanuvla
da spósaiƞgàtià s’i cùp
la
s’imbalùnafóra da la mura
alźiéraalźiérapéna
più d’uƞvél
l’iƞgulìs
al misterî d’la vié d’j’Àƞźul
e
ascuóśaƞcórapr’illstrad al siléƞzî
dillrigh
e d’j’àƞguld’na Musa ch’l’iƞchiéta.
17
Quando
gli occhi mescolano ombre e pensieri
nasce
tutta la bellezza della città:
un
velo da sposa aggroppato ai tetti
si
gonfia oltre le mura
leggero
leggero poco più di un tulle
lusinga
il mistero della via degli Angeli
e ancora
si cuoce per le strade il silenzio
delle
geometrie di una Musa inquietante.
27
L’è
sémpar al mèiƞsunî
uƞtilîiƞmeź
al źardìƞ
a la
so òra natàula
dópultruƞzìƞnadstròpa
una da
ƞ’cò una da cl’àltar
par
zcórar da mi a mi
na
volta većna volta źóvan
pó
d’iƞveransaràrm in cà
e
santàdnaƞzi a la fnéstra
guardàr
chi dù là fóra
a
sptàr la blèza d’n’altra primavéra.
27
È
sempre il mio sogno
un
tiglio al centro del giardino
alla
sua ombra un tavolo
due
poltroncine di vimini
una da
un lato una dall’altro
per
discorrere da me a me
una
volta vecchio una volta giovane
poi
d’inverno chiudermi in casa
e
seduto davanti alla finestra
guardare
quei due là fuori
aspettare
la bellezza di un’altra primavera.
Nota
bio
Edoardo Penoncini nasce ad Ambrogio di Copparo (Fe) il 20-12-1951, laureato in storia medievale presso l’Università degli studi di Bologna, è stato assegnista per quattro anni presso l’Istituto per la Storia di Bologna, redattore per tre anni della “Rivista di studi bizantini e slavi”, collaboratore per 25 anni della rivista “Scuola e didattica”, ha insegnato Lettere nella Scuola secondaria fino al 2011.
Ha pubblicato nove raccolte in lingua, tra queste: Qui non si arriva di passaggio. Ferrara, musa pentagona,pref. Roberto Pazzi, Ibiskos-Ulivieri 2012;Vicus felix et nunc infelix. La luce dell’ultima casa, Al.Ce. 2015; Sotto le palpebre, pref. Marzia Minutelli, Puntoacapo 2021
In dialetto ferrarese: Al fil zrudla (Il filo srotolato), pref. Zena Roncada, Al.Ce. 2015; Scartablàr int i casìt (Rovistando nei cassetti), Al.Ce. 2018; Al paréa uƞ fógh ad paja, pref. Zena Roncada, Puntoacapo 2019; La bléza, Nota di Manuel Cohen, Puntoacapo 2022.
Interventi critici: Considerazioni sulla poesia di Daniela Raimondi, in «l’Ippogrifo», n.s. a.II, 2, pp. 29-33, Scoprire i poeti dialettali: Gastone Vandelli, in «l’Ippogrifo», n.s. a.I, 2, pp. 17-24; Sulle orme della poesia di Bruno Pasini, in «l’Ippogrifo», n.s. a.II, 1, pp. 37-43; Direzioni e inversioni nella poesia di Iosè Peverati nelle prime raccolte: da Quarantaquatar quadrit a La giostra, in A tréb con Iosè Peverati. Studi e testi per il 90° compleanno, a cura di E, Penoncini, Al.Ce. 2017, pp. 23-31; Sulle orme dei poeti dialettali: Ferraguti, Pasini, Peverati, in Annuario Govoniano di critica e luoghi letterari, a cura di Matteo Bianchi 2019; Noterelle campagnole sui Fuochi govoniani, ibidem.
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