Grazia Procino propone la poesia di Costantino Kavafis
"E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balia del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.”
Per quanto sta in te di Costantino Kavafis, autore nato
ad Alessandria d’Egitto il 29 aprile 1863 e morto lo
stesso giorno del 1933, è una poesia intrisa della saggezza antica dei Greci.
Il consiglio che il poeta dà, in fondo, non è diverso da quello iscritto sul frontone
del tempio di Apollo a Delfi:
Nosci te ipsum, o
Gnothi seauton,
=conosci te stesso.
E’ una lezione di vita che si immagina un uomo dalla ricca esperienza dia a un
giovane affinché non sprechi neppure un attimo della propria esistenza.
Questa la lezione
gnomica e il significato profondo della lirica di Kavafis che sembra
provenire da un tempo remoto, eppure eternamente presente. Non ci sono domande
esistenziali e neppure grandi risposte, ma un unico inderogabile
imperativo: “Non
sciuparla”, che equivale a non perderti, non smarrirti, non
ti disunire.
L’appello appassionato dell’io lirico a far
leva su sé stessi per trovare un posto al mondo e di lì esercitare il fascino
salvifico dell’appropriazione della vita evitando il rischio maggiore, ossia
quello di renderla una frivola estranea, mi ha incantato fin dal primo momento
in cui mi sono accostata al testo e continua a sedurmi.
Guardarsi dentro serve a capire che spesso siamo assillati dal tentativo di
ottenere cose che non ci servono davvero; la frenesia del quotidiano, delle
chiacchiere, degli incontri, degli inviti ci fa perdere di vista la realtà più
autentica che - come sottolinea il poeta - è quella interiore.
Prioritario è non cadere nella trappola dell’inganno delle apparenze, delle
futili attività prive di solidità; l’esortazione finale è quella di valicare la
realtà fenomenica e addentrarsi nel noumeno eterno, che è per sempre.
L’opera del poeta
greco, nell’edizione italiana di Giulio Einaudi, tradotta da Nicola Crocetti,
contiene un tasso elevato di cultura classica nella mistione con le radici
pre-cristiane intessute di edonè greca, in cui Kavafis si crogiola.
Il poeta ha una percezione
inconfondibilmente tragica e classica del destino umano, sebbene si realizzi
poeticamente con un'asciuttezza e un’inquietudine spiccatamente moderne.
La scrittrice Marguerite
Yourcenar fu un’ammiratrice fervente di Kavafis: capace di cogliere la fibra più intima e nascosta, il motore
celato che anima i versi magnifici del poeta. Marguerite Yourcenar coglie nel segno quando individua tra le righe
dei versi del poeta traiettorie di relazione per lui giocoforza complicate.
Senza intanto smettere di restituirci la potente bellezza dei versi di Kavafis,
come un balsamo lenitivo in questi tempi scabri di bellezza.
Mare al mattino
Che io mi fermi qui;
per un’occhiata alla natura anch’io.
Di un cielo sgombro e
del mare al mattino
il blu brillante con
la gialla riva; tutto
bello, e tutto in
piena luce.
Che io mi fermi qui. E
m’illuda di aver visto
(certo che ho visto,
in quell’attimo di sosta);
non vittima anche qui
dei miei abbagli
dei miei ricordi dei
miei fantasmi di lussuria. ( trad. di Nicola Crocetti)
“Mare al mattino” è l’unico testo in cui
Kavafis sprofonda nella natura del mare in una limpida mattina estiva,
restituendo il solare incanto e l’epifania meravigliosa.
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