Nel nome, la storia. Nella storia, l’identità.
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico
loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo
nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
Nel nome la vita, nel nome la storia.
Ma il nome è dato: come nessuno si dà la vita, nessuno si dà
il nome – soltanto Dio può, e nel darselo, negarlo.
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse:
«Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”».
Negare il nome, che crea, per affermare
l’essere-Colui-che-crea. Soltanto Dio può, soltanto Dio deve – a lui è
necessario. Quale legame, allora, per noi che siamo sua immagine, per noi che
un nome lo abbiamo, una storia l’abbiamo – per noi che questo nome e questa
storia vorremmo tante volte distruggerli, in un furore nichilista che butta via
il bambino con l’acqua sporca, la grazia di essere col dolore di essere?
Quale legame, se non una storia, una tradizione?
Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il
Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe,
mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con
cui sarò ricordato di generazione in generazione».
L’immagine in un solco, il corpo in una storia di tempo,
spazio e sangue. La filiazione nome dopo nome, generazione dopo generazione –
un essere-dati-a-sé che è dono e condanna, debito e ricompensa. Scrivevo
qualche anno fa di me – della mia, di generazione, del desiderio nascosto e
demoniaco di farne pira purificata, di forgiarne un’icona senza carne, del
«peso sordo della predizione»:
Quando gli uomini divennero cognomi
allora vennero le maschere – non più Daniele
fu Giampaolo fu Marino
ma il casato, il segno, il giglio,
il peso sordo della predizione,
il giogo della stirpe.
Così scrivevo e così, una pagina più tardi, soffrivo – come
ancora ne soffro – della disgregazione di questo solco, della rottura di questa
catena, della sua morte in me, del disvanire di ogni autobiografia che non sia
data da chi ci segue – del destino di polvere e vanagloria di ciò che forse
altro non è stato in vita.
E Giunio generò Marino
e venne via da casa, generò Marino
che generò Giampaolo
e Giampaolo sposò Giulia e generarono
e nacque Monica e ancora generarono
Daniele – che attraversò la vita e il secolo.
Giunio fece la stirpe e fu Marino e fu Giampaolo
che generò
Daniele – che generò: nessuno.
Come vorremmo adesso un’altra morte – un’altra morte e
un’altra vita.
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(Nota: I brani della Bibbia sono tratti da Esodo
3, 13-15 nella traduzione CEI del 2008. I miei versi vengono invece da Di
odore e di generazione, 2019).
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