lunedì 20 gennaio 2025

POESIE SUL TEMA "BIOGRAFIA O AUTOBIOGRAFIA?"

 

Poesia inedita di Doris Bellomusto

Nota biografica 

 

Nata di Settembre 

d'estate mordo nuvole

d'inverno succhio luce

quasi sempre cedo 

il passo ai furbi 

e mi fingo ingenua 

vivo giorni di trasparente 

menzogna. 

Il mio tempo vitreo 

basta niente a scalfirlo 

mi ferisce l'amore 

mancato 

me ne andrò da questo mondo

ricordando 

i baci sulle scale

il mare

le mani di mia madre

l'amore 

preso al volo

come fosse un caffè



Poesia edita, tratta da:
Il centro del mondo, Domenico Cipriano (Transeuropa, 2014)


(a mio padre)

Si è raggrumata in sogno
la sequenza dell’adolescenza
noi due seduti: tu intento
a leggere il giornale, io
un libro, cogliendoci nelle parole,
fermando quell’istante quotidiano
complici gli odori della casa
il calore della stufa a kerosene
e il velluto a scacchi delle poltrone.
Mi hanno sorpreso di notte
in un sobbalzo della mente
che si concede raramente indietro
scompigliando gli anni
alla memoria senza grandi eventi:
quella necessaria, e più segreta.



Poesia edita, tratta da:  Il tempo diviso, Laura Pierdicchi (Cierre grafica)










Durante il tempo con occhio minuzioso

ho seguito e raccolto ogni dettaglio

per capire i movimenti - il flusso del reale

la complessità dei giochi e interscambi –

ho osservato e registrato il trasformarsi

nel succedersi degli eventi – nelle infinite

probabilità di variazioni – nella pluralità

del possibile e del voluto. Ho sviluppato

a poco a poco una vista astrale – ho toccato

l’impalpabile nel variegato mondo delle cose.

L’acqua intanto riduceva  il  calore

del battito troppo acceso e tra le mani

a volte solo briciole di pietra. Ho imparato

a leggere il ritmo del fluire nell’infinito

intrigo del sistema – ma dall’inizio

a tutt’ora balbetto di fronte allo sgorgare

del mistero -  alla fuga delle ombre

al clamore delle loro danze scatenate.



Poesia inedita di Valerio De Nardo

 










AUTO_BIOGRAFIA

 

SIMCA mille

verde pisello,

sotto al lunotto

sul poggiacappello

un cane di plastica,

collo snodato,

a molla annuente

seguivo incantato

in tal guisa ch’io -

in ginocchio al sedile -

indietro rivolto

potessi mirarlo

per anni oscillare

al tempo d’infanzia

ch’or pure lontana

m’appare beata.

Comincia così

la mia biografia,

nell’auto francese

di Luana, la zia,

prima a portarmi

nel secol veloce

di cilindro e pistone

a scoppio motore.

 

Foto in memoria

dei toni di grigio

del bianco e di nero

di mezzo ai Sessanta

fugaci passammo

in Fiat milleettre

segno di un’epoca

allor familiare.

 

Fu quindi la Giulia,

per tutto bambino,

azzurrina, potente

Super mille e seicento.

Pure la targa

ancora ricordo,

CZ60621;

deflettori spiegati,

nell’Alfa Romeo

in cinque si stava

coll’aria sospinta

solo dal vento

pei finestrini

a penisola andando:

Lamezia, Falerna,

poi Valle del Noce,

Salerno e poi dopo

Napoli e Roma,

autostrada del Sole

fino a Torino

seguendo la squadra,

calabro orgoglio

per valigie lì giunte

da poco col treno

- sempre del Sole -

in fabbriche nordiche,

nuovi modelli,

ma stava su scritto

ai sabaudi cartelli

ch’ai meridionali

- sporchi e terroni -

niente sarebbe

stato affittato.

 

Anni Settanta,

all’ombra vissuti

d’accordo di Yalta

in estati clementi

e d’anticiclone

ancora d’Azzorre

ma è crisi in Italia

cresciuta e già stanca,

esausta oramai

di petrolio e di piombo,

intanto che i’era

in incerti orizzonti

di preadolescenza

in piccola nera

Fiat 126: CZ144258.

 

Di quarta mano

fu l’auto(no)mia,

Fiat 500, rossa,

con Roma su targa

E... poi numeri svaniti

in ricordi fumosi:

imparare a guidare,

semovente scoprire

in doppia debraiata

la propria identità

su patente e libretto

seguendo le strade

di vita in percorso.

 

Avevamo una 127

carta da zucchero

quando

mio padre morì.

 

Autobianchi A112,

scattante blu taxi

a Sant’Eufemia devoto

nel tornar periodico

di amici emigrati,

poi con essa andare

militare a servizio

per finire pur’io

emigrato in lontana

terra di Tuscia.

 

E lì, sposati,

una Citroen AX

grigia targata VT

ci condusse per anni

giovani illusi

a cavallo vapore

di progetti, speranze

e nuovi millenni.

 

Piccola graziosa

Twingo Renault

color del corallo

accolse

l’arrivo del figlio,

ma non più sufficiente

agli spazi richiesti.

 

Station wagon

Toyota Corolla

allora fu scelta

per nuova famiglia.

 

In 207 Peugeot

ribaltai pendolando

da Viterbo diretto

all’Eterna Città,

pochi mesi dopo

che pure mia madre

andata se n’era,

avendomi lei

a guidare insegnato

fino da quando

io sono nato.

 

E or la 208 Peugeot,

come Roma graffiata

come gli anni

passati scoprendo

che le ammaccature

non sempre vanno aggiustate

come le rughe

che addosso mi porto

con disillusa affettuosa

combustione d’interno.


Due Poesie edite 

tratte da "E plana stanca sulla riva" , Lucia Lo Bianco ( 2022 Helicon Edizioni)










Solitudine nell’onda

 

Ma lo sapevo già che avrei ritrovato

la mia bionda solitudine nell’onda

e avrei vissuto la mia arsura

come il sangue che scorre nel deserto.

E conoscevo già il buio che vive

a ridosso del respiro della sabbia

sopra il fondo incerto e le pareti

di un fragile corpo ormai perduto.

E lo sapevo già che avrei contato

i chicchi sparpagliati sul mio viso

e gli infiniti sassi sui fondali

e avrei allungato ancora la mia notte

attendendo il dissolversi del tempo

nella pura essenza del ricordo.

E nel silenzio avrei disperso la mia pelle

che ancor respira in giorni sempre uguali

tra mille essenze e particelle taciute

a lungo nell’immobile universo.

E questo vento ha quel sapore

che si dilegua come farfalla sotto il sole

e poi si screzia di scure lacrime di notte

e veleggia, veliero naufragato nell’abisso.

Ma riuscirò a mutarmi nel giallo oro

della sabbia a primavera, una crisalide

che rinasce ogni giorno all’orizzonte

e si distende tremolante sotto il cielo.

 

Dovrò bagnarmi alla fonte del sapere

 

Di sole e luna la mia anima si ammanta

mentre cammino a piedi nudi sulle onde

e non mi basta che un battito di ciglia

per contenere i granelli della sabbia.

Gli occhi dipingono fino all’orizzonte

ma non c’è posto per il blu di questo cielo,

le labbra sfiorano l’aria come un soffio

ma sa di sale il vento menzognero.

Vuoto è il cammino negli angoli del tempo,

vola il suo carro e veloce è il suo cocchiere,

fragili ali come di farfalla mi son compagne

nel cristallo delle acque. E poi: giù in fondo!

Sul tappeto calpestato dell’abisso,

sui chiaroscuri pennellati dal ricordo,

tra quelle dune disegnate all’infinito

che solo i sogni ridanno alla memoria.

Ma per rinascere svuotata di passato

dovrò bagnarmi alla fonte del sapere

e ricercare il riflesso del mio viso

sulle alte vette in cima all’universo.


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