lunedì 20 gennaio 2025

UN LIBRO IN TRE PAROLE - Donatella Nardin

 


Poesie velate di Donatella Nardin

Il Convivio Editore 2024

Prefazione a cura di Giuseppe Manitta

 

Il Destino, il Velato e l’Incompiuto.

Sono queste le tre parole tematiche che, sintetizzando e chiedendo accoglimento, sostanziano la silloge. Ne accennerò brevemente, rimandando, chi lo desidera, alla lettura del libro.

Se la mia propensione in poesia è quella di utilizzare un linguaggio misurato, a tratti forse velato e sommesso, anche nei confronti di una materia vivente spesso urticante, ecco spiegati, solo in parte naturalmente, sia il titolo della raccolta che una delle sue tracce preminenti.

      Sotto quel velo metaforico e simbolico, si agitano in trasparenza, come fiori implumi, i destini di molti, in modo speciale di quelli a cui, in esergo, il libro è dedicato. E per destino intendo la semplice e fragile condizione esistenziale toccata in sorte ad alcuni, al di là di ogni considerazione di carattere morale, filosofico o teologico.

Per maggiore chiarezza, riporto la dedica collocata in esergo.

“Agli invisibili tutti, nel pianto ubiquo dimenticati. 

  Ai lasciati in disparte, nel disadorno feroce assiepati.

  Alla tua ombra dismessa, alla tua luce mai nata

  e generoso all’amore che terso il poco nel tutto

  a volte risana.”

 

     Sono convinta che in una relazione sempre viva con una umanità esposta a ingiustizie e soprusi, la parola poetica debba anche assecondare, fosse pure per lampi brevi, quella urgenza espressiva che induce ad allargare lo sguardo a ciò che ci circonda, alle brutture e alle storture della contemporaneità affinché il nostro dire non si esaurisca in un “Io” troppo spesso presente e prevaricante. In tale raccordo ritmico e nella sincerità degli intenti, è perciò necessario spostare in avanti le proprie coordinate intessendo un fraseggio il cui ordito sia tangibile e compartecipe.

La poesia incipitaria.

Dal poco colsero un battito

 - e unghie laccate di rosso

e lunghi capelli di luce -

per farne dono alla madre

degli increati tutti, dei poveri,

dei diseredati, seduti fuori dal tempo,

assisi sui troni dorati del vento,

in forma di grumo scuro

 

- tra gli alberi viola d’attrito –

 

erano i respiri di ombre lontane

che in un ardente fiammare

avrebbero desiderato appalesarsi

almeno nella parola.

 

     Da tali premesse si dispiegano le quattro Sezioni in cui il libro è suddiviso e cioè Ombre e respiri, Una velata delazione, Madri interrotte e D’amore e d’altre infermità.

Accade infatti che, scavando nell’intimo, si giunga a toccare quel grumo emotivo che chiede di essere, se non sciolto, almeno pronunciato nelle sue diverse modulazioni, fosse pure tramite immagini, vibrazioni e suoni per l’appunto solo accennati.

Ed ecco allora la parola e il pensiero dare vita, in sorvegliata fusione, a versi sempre alla ricerca di segrete rispondenze perché citando Rimbaud “Il poeta cerca se stesso, in sé esaurisce tutti i veleni per conservarne solo la quintessenza. Egli arriva all’ignoto e anche se finisse col perdere la comprensione delle sue visioni, le ha pur viste.”

     Non è semplice dire, con tattile delicatezza, il dolore, tantomeno i drammi che, attraversando le vite di molti, chiedono compenetrazione ed empatia. Si tratta infatti di interpretare fedelmente, e poi di restituire in poesia, senza inutili effusioni sentimentali, i movimenti dell’anima e del cuore in tutta la loro fragilità, di decifrarne le varie colorature emozionali sottolineando le invisibili connessioni fatte anche di profonde contraddizioni.

Si tratta, in buona sostanza, di scandagliare i percorsi misteriosi e spesso incomprensibili dell’umana avventura alla ricerca inesausta, e quasi mai appagata, di senso e in tale percorso porre in relazione la propria inadeguatezza con quella di ogni altra creatura.

     In tali dinamiche, attribuisco un particolare rilievo alla Sezione Madri interrotte a cui tengo particolarmente. In essa propongo un dialogo-soliloquio serrato tra una madre e un figlio/a mai nato/a perché, andando oltre gli orizzonti ristretti del concreto e del visibile e tentando di individuare spiragli e aperture nell’interazione con le ombre, anche le cose incompiute segnano, a volte irrimediabilmente, le storie personali anzi spesso nella loro parvenza sfuggente, essendosi pur date e manifestate, si mutano in linfa generatrice di versi che tentano di alleggerire, almeno in parte, mancanze e infermità.

Tutto ciò che ci tocca in sorte, infatti, anche se solo sognato o immaginato, appartiene alla viva esperienza e realtà di ognuno.

In chiusura, riporto due poesie tratte da questa sezione.

Dalla madre al figlio/a

XI

Onora un patto d’amore

la cellula prima

eppure non basta, non basta

per farsi sangue bambino.

Come trovarti, dove arrivarti?  

Soffice e chiaro

fu un compendio fugace

la nuda passione d’amore,

un nulla sospeso

il desiderio di te in noi.

 

***

 

Dal figlio/a alla madre:

 

XIX

 

Potessi

della mia piccola pace

t’impollinerei madre

e invece, intramontata stella,

dormo cullata da lune

ultraterrene

 

 - consolati madre,

non prova dolore il nulla -

 

e intanto nel sonno veglio

l’idea di ritornare a nuotare

in una intenzione profonda

da cui non tracimi

il pianto né questo tuo fulgido

sogno miseramente

infranto.

 




Nessun commento:

Posta un commento