Poesie velate di Donatella Nardin
Il Convivio Editore 2024
Prefazione a cura di Giuseppe Manitta
Il Destino, il Velato e l’Incompiuto.
Sono queste le tre parole tematiche che, sintetizzando
e chiedendo accoglimento, sostanziano la silloge. Ne accennerò brevemente,
rimandando, chi lo desidera, alla lettura del libro.
Se la mia propensione in poesia è quella di utilizzare
un linguaggio misurato, a tratti forse velato e sommesso, anche nei confronti
di una materia vivente spesso urticante, ecco spiegati, solo in parte
naturalmente, sia il titolo della raccolta che una delle sue tracce preminenti.
Sotto quel
velo metaforico e simbolico, si agitano in trasparenza, come fiori implumi, i destini
di molti, in modo speciale di quelli a cui, in esergo, il libro è dedicato. E
per destino intendo la semplice e fragile condizione esistenziale toccata in
sorte ad alcuni, al di là di ogni considerazione di carattere morale, filosofico
o teologico.
Per maggiore chiarezza, riporto la dedica collocata in
esergo.
“Agli
invisibili tutti, nel pianto ubiquo dimenticati.
Ai lasciati in disparte, nel disadorno feroce
assiepati.
Alla
tua ombra dismessa, alla tua luce mai nata
e
generoso all’amore che terso il poco nel tutto
a volte
risana.”
Sono
convinta che in una relazione sempre viva con una umanità esposta a ingiustizie
e soprusi, la parola poetica debba anche assecondare, fosse pure per lampi
brevi, quella urgenza espressiva che induce ad allargare lo sguardo a ciò che
ci circonda, alle brutture e alle storture della contemporaneità affinché il
nostro dire non si esaurisca in un “Io” troppo spesso presente e prevaricante.
In tale raccordo ritmico e nella sincerità degli intenti, è perciò necessario
spostare in avanti le proprie coordinate intessendo un fraseggio il cui ordito
sia tangibile e compartecipe.
La poesia incipitaria.
Dal
poco colsero un battito
- e unghie laccate di rosso
e
lunghi capelli di luce -
per
farne dono alla madre
degli
increati tutti, dei poveri,
dei
diseredati, seduti fuori dal tempo,
assisi
sui troni dorati del vento,
in
forma di grumo scuro
-
tra gli alberi viola d’attrito –
erano
i respiri di ombre lontane
che
in un ardente fiammare
avrebbero
desiderato appalesarsi
almeno
nella parola.
Da tali
premesse si dispiegano le quattro Sezioni in cui il libro è suddiviso e cioè Ombre
e respiri, Una velata delazione, Madri interrotte e D’amore e d’altre infermità.
Accade infatti che, scavando nell’intimo, si giunga a
toccare quel grumo emotivo che chiede di essere, se non sciolto, almeno
pronunciato nelle sue diverse modulazioni, fosse pure tramite immagini,
vibrazioni e suoni per l’appunto solo accennati.
Ed ecco allora la parola e il pensiero dare vita, in
sorvegliata fusione, a versi sempre alla ricerca di segrete rispondenze perché
citando Rimbaud “Il poeta cerca se stesso, in sé esaurisce tutti i veleni per
conservarne solo la quintessenza. Egli arriva all’ignoto e anche se finisse col
perdere la comprensione delle sue visioni, le ha pur viste.”
Non è
semplice dire, con tattile delicatezza, il dolore, tantomeno i drammi che,
attraversando le vite di molti, chiedono compenetrazione ed empatia. Si tratta
infatti di interpretare fedelmente, e poi di restituire in poesia, senza
inutili effusioni sentimentali, i movimenti dell’anima e del cuore in tutta la
loro fragilità, di decifrarne le varie colorature emozionali sottolineando le
invisibili connessioni fatte anche di profonde contraddizioni.
Si tratta, in buona sostanza, di scandagliare i
percorsi misteriosi e spesso incomprensibili dell’umana avventura alla ricerca
inesausta, e quasi mai appagata, di senso e in tale percorso porre in relazione
la propria inadeguatezza con quella di ogni altra creatura.
In tali
dinamiche, attribuisco un particolare rilievo alla Sezione Madri interrotte a
cui tengo particolarmente. In essa propongo un dialogo-soliloquio serrato tra
una madre e un figlio/a mai nato/a perché, andando oltre gli orizzonti
ristretti del concreto e del visibile e tentando di individuare spiragli e
aperture nell’interazione con le ombre, anche le cose incompiute segnano, a
volte irrimediabilmente, le storie personali anzi spesso nella loro parvenza
sfuggente, essendosi pur date e manifestate, si mutano in linfa generatrice di
versi che tentano di alleggerire, almeno in parte, mancanze e infermità.
Tutto ciò che ci tocca in sorte, infatti, anche se
solo sognato o immaginato, appartiene alla viva esperienza e realtà di ognuno.
In chiusura, riporto due poesie tratte da questa
sezione.
Dalla madre al figlio/a
XI
Onora
un patto d’amore
la
cellula prima
eppure
non basta, non basta
per
farsi sangue bambino.
Come
trovarti, dove arrivarti?
Soffice
e chiaro
fu
un compendio fugace
la
nuda passione d’amore,
un
nulla sospeso
il
desiderio di te in noi.
***
Dal
figlio/a alla madre:
XIX
Potessi
della
mia piccola pace
t’impollinerei
madre
e
invece, intramontata stella,
dormo
cullata da lune
ultraterrene
- consolati madre,
non
prova dolore il nulla -
e
intanto nel sonno veglio
l’idea
di ritornare a nuotare
in
una intenzione profonda
da
cui non tracimi
il
pianto né questo tuo fulgido
sogno
miseramente
infranto.
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