Donatella Nardin ha scelto queste parole per riassumere il suo nuovo libro di poesie: L'occhio verde dei prati - Fara 2023.
È un compito
davvero arduo tentare di riassumere in tre parole questa mia ultima raccolta
poetica.
Mi risulta
infatti difficile staccarmi dai testi e, con sguardo neutro, tentare di
evidenziare ciò che nell’atto creativo - “che sia sassopietra o nuvolafiore”
come annoto in un verso della lirica incipitaria L’occhio verde dei
prati - ha dato vita alle poesie e che poi, come spesso avviene, attraverso
limature, aggiunte o sottrazioni, ha acquisito significato e pregnanza.
In quale misura
davvero non so dire. Anche se, come afferma Carla De Angelis nella sua
presentazione “sono versi che si leggono d’un fiato tanta è l’armonia e la
delicatezza/dolcezza che li contraddistingue.”
Scarnificando e
spremendo il tutto fino all’osso - e tenendo conto di un aspetto cogente in
quanto i testi sono stati scritti nel periodo pandemico durante il quale ho
anche subito dei gravi lutti - potrei affermare che si tratta di poesie della
perdita, della fatica dello stare al mondo in pienezza e della conseguente
fragilità.
Versi incentrati
dunque sullo sconforto, su quei moti interiori che, nella vertigine temporale,
causano smarrimento e instabilità emotiva tanto quanto un’ineludibile necessità
di elaborazione e di accettazione degli accadimenti dolorosi e delle accorate
sofferenze che, prima o poi, siamo tutti costretti a vivere.
Elaborazione e
accettazione che nella concrezione e nella continua, inesausta ricerca di senso
possono passare attraverso lo stringersi al petto qualche piccola gioia oppure
cercando di “fare mondo altrove” come nella lirica Le madri o attraverso
l’utilizzo di sguardi e lessemi che, nel loro sostanziarsi, si spingano un
po’oltre, verso la luce di una percettività altra che dia pace e consolazione.
Come annota
Riccardo Deiana nella postfazione “si tratta di una poetica che mette in scena,
(rappresenta e al tempo stesso pone come origine) la natura puntiforme della
condizione etica di chi scrive.”
Oppure:
“nell’elotiana waste land che è il presente di Nardin...è alle madri,
forze archetipiche e rigeneranti che è affidato il compito della salvezza
terrena (Infanzia violata) è su di loro che la poetessa carica e proietta la
speranza, altrimenti sottile e muta (così in Tra cuore e bocca).
Se per Fortini la speranza era l’accertamento
di un vuoto; per Camus una comoda illusione cristiana; per
Amelia Rosselli un danno forse definitivo, per Nardin è qualcosa che non
muore solo se è gratuito. Un’idea forte e interessante.”
E sempre Deiana,
in un altro stralcio: “È nel rapporto tra cuore e bocca (vale a dire memoria e
forma, sapere e canto) che si inscrive per analogia il problema
dell’espressione.
La parola che
Nardin mira a realizzare è quella che fonde i significati del cuore ai significanti
che fuoriescono nell’articolazione fonatoria. Se uno dei due organi è in
pericolo, anche la poesia lo è… Carne è dire e carne è silenzio.”
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