domenica 25 giugno 2023

SERRATI VERSI - Francesco Filia dialoga con Luca Vaglio

 

Cosmologie è l’ultimo libro di poesie di Luca Vaglio - poeta, giornalista, narratore e critico letterario - edito da Marco Saya edizioni, 2022. Si presenta come un libro compatto, in cui si intrecciano linee tematiche già presenti nei precedenti libri di Vaglio, ma che qui trovano un respiro più ampio e con declinazioni nuove, l’emergere ad esempio di una vena sapienziale, che mette a fuoco spunti provenienti dalla fisica, dalla filosofia, dall’astrologia, come afferma lo stesso autore nella Nota conclusiva. Questa originale chiave di lettura del libro permette di attraversare anche  gli snodi principali del suo percorso poetico e di cogllerne le costanti, le variazioni sul tema e le soluzioni stilistiche. A tal proposito ho posto a Luca, che ringrazio per la disponibilità, alcune domande.

 

 

«Margine di occidente | in cui da anni, da decenni, | spero di perdermi». In questi versi, e nel libro tutto, mi sembra che si possa delineare un’etica e un’estetica dello svuotamento, un percorso esistenziale e poetico che si muove nel margine, che conduce al vuoto, a un perdersi. Come hai disseminato queste tracce nel tuo libro?

 

Quel passaggio ha a che fare con la possibilità di dimenticare qualcosa della propria identità, reale o presunta, ovvero di se stessi, “anche soltanto per poco”, come si precisa due versi dopo. Questa forma di abbandono, o se si preferisce, di abdicazione temporanea, può forse favorire una relazione più libera con le cose che ci stanno attorno. Ammettere una perdita, una specie di spostamento del sè, sia pure parziale e provvisorio, può essere un passaggio prezioso per dismettere, o attenuare, punti di vista soggettivi e filtri intellettuali e culturali e ipotizzare una relazione con la realtà meno inquinata da pregiudizi, più o meno consapevoli. Un'altra poesia del libro richiama una possibile essenza, o radice, della percezione e si chiude così: “vale solo essere, ora, all’ombra/ e senza pensare, qui,/ vedere la luce del sole”. Anche nel mio romanzo Il vuoto (Morellini Editore, 2019) do un valore simile al concetto di vuoto – la cui esperienza si fa più concreta in seguito alla scelta da parte del protagonista di lasciare un luogo lavoro opprimente –, da non intendersi come un azzeramento delle possibilità, ma come un intermezzo, o un interregno, per così dire, a minore intensità, in cui accadono episodi degni di attenzione e si sperimenta una condizione del sé più autentica, sia pure a tratti attraversata da un grado di disagio che deriva dal bisogno razionale, o razionalistico, nonché illusorio, di definire le situazioni e di prevederne l'evoluzione.

 

 

Mentre nella flânerie otto-novecentesca, ma anche nel dandismo, basti pensare a Baudelaire e Wilde, vi è una schizofrenia tra nichilismo e attenzione allo spettacolo del mondo, invece, a me sembra, che i testi di questo libro, siano uno sforzo di tenere insieme la gioia dello spettatore, che osserva il minimo dettaglio della vita, con “l’arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale”, per dirla con Leopardi. Se è così, come si manifesta questo legame nel tuo immaginario e nel tuo dettato poetico?

 

La rappresentazione della flânerie, del girovagare del poeta, dello scrittore, dell'artista, per la città, per uno spazio urbano, ha sempre avuto un significato storico preciso, nonché un valore politico, economico e sociale. La flânerie in letteratura è stata, ed è ancora, anche un modo, o uno strumento, per evidenziare un passaggio epocale, per descrivere un aspetto rilevante della contemporaneità. Charles Baudelaire ci mostra il poeta che da un lato ha perso l'aureola, caduta nel fango, il mandato sociale, la possibilità di parlare in nome degli altri, e dall'altro, diventando uno dei tanti, ha la possibilità di osservare la città in un modo nuovo e più libero. Il flâneur di Walter Benjamin è espressione della rivoluzione industriale, il borghese-turista che attraversa i passages parigini affollati da negozi. Anche l'io lirico che compare in alcune poesie di Cosmologie condivide la componente materialista che attraversa tutta la letteratura della flânerie. L'universo economico, fatto di offerte di ogni genere e voli low cost, nel quale spostarsi da un luogo all'altro è di per sé un'occasione per acquistare e consumare merce non può che essere sullo sfondo o, meglio, parte del contesto. “Prendo il millesimo taxi/ – so che non è vero,/ ma così mi sembra –/ dei miei viaggi europei,/ della mia vacanza infinita”, dicono i primi versi di una poesia ambientata nel centro di Lisbona, nella Baixa, ormai globalizzata e turistica. Tuttavia, la materia non è tutto e anche quando il nostro vagare di flâneur è invaso, nonché eterodiretto, da proposte di acquisto, la nostra coscienza ha sempre la possibilità, osservando quello che c'è fuori o guardando dentro di sé, di stupirsi, di meravigliarsi, di trascendere le nude cose, forse fino a perdersi, a essere dimenticata, “anche soltanto per poco”, appunto, da se stessa, o almeno a sperare di poterlo fare, come recita la poesia citata nella domanda e nella risposta precedenti. Ce lo permette, ovvero ce lo suggerisce, la nostra mente, che “immagina in senso assoluto”, come si dice nella poesia subito successiva. E a questo riguardo la tua citazione leopardiana, e la tua intuizione dell'ambivalenza dello sguardo poetico che caratterizza il mio libro, sono pertinenti e acute.

 

 

E a proposito di “legare”, come si è sviluppato l’incontro con il Logos dei presocratici, così presenti, soprattutto nella seconda parte del libro? In che modo la tua osservazione poetica della contemporaneità si è confrontata con l’antica sapienza greca?

 

In Cosmologie si richiamano frammenti del pensiero di Eraclito, Anassagora, Socrate e Pitagora, di Ludwig Wittgenstein e Bertrand Russell, echi biblici e platonici, intuizioni provenienti dai linguaggi simbolici e dai testi delle Piramidi, conoscenze che abbiamo grazie agli studi sulla fisica quantistica e alle teorie sull'origine dell'universo e altre riflessioni, altri concetti, discorsi collettivi, come mi piace definirli, e li si mette in relazione con testi in cui si rappresentano vicende particolari, situazioni, almeno in potenza, private e sperimentabili nella quotidianità. A volte la dialettica tra generale e particolare, tra filosofia, intesa nel senso più ampio, e contingente, tra discorso astratto e situazione concreta, avviene all'interno della stessa poesia, nel volgere di pochi versi. In fondo, è quello che ognuno di noi fa più o meno tutti i giorni, a partire dalla sua visione del mondo, dal suo modo di interrogarsi sulle cose che vede. Non possiamo che cercare di interpretare quello che accade e tentare di dare un senso al corso delle cose. E per farlo ricorriamo in continuazione a numerose categorie concettuali. Nelle mie poesie provo a mettere in scena, a riproporre questo meccanismo, riecheggiando conoscenze e sistemi di pensiero di origine e natura diversa e lasciando che interagiscano, o reagiscano, sulla pagina con porzioni di esperienza.

 

 

Pur rimanendo la tua voce ben definita e inconfondibile, a me sembra che in questo libro, più che in altri, tu abbia deciso di modularla polifonicamente, dal verso piano e disteso, ad accensioni sapienziali, alla prosa poetica. In base a quali criteri hai cadenzato il verso? Come hai dato il giusto equilibrio al testo?

 

Le poesie di Cosmologie mostrano spesso una versificazione ampia, a tratti quasi simmetrica, anche se soltanto occasionalmente isometrica. Questa scelta segue l'esigenza di dare ai testi un andamento moderatamente lirico e narrativo al tempo stesso. Per me è importante che suono e racconto coesistano senza sovrapporsi e con un grado possibile di armonia. Ancora, ho voluto tenere insieme una modalità sapienziale, se si vuole, e uno sguardo descrittivo, entrambi, però, filtrati dalla sintesi che la scrittura poetica permette, e impone. Più precisamente, volevo che anche i testi più concettuali avessero un ritmo narrativo, più che epigrammatico o aforismatico, e che le poesie in cui viene raffigurata una situazione concreta restituissero una tensione filosofica.

 

 

*

Forse anche tra le persone e nei loro pensieri

a volte, o spesso, ci sono e insistono masse

di materia, nodi estremi, informi, e violenti,

gravità cerebrali e ultime di logos buio dove

la luce non passa più e non trova vie di fuga

e dove il tempo è come recluso in se stesso,

oppure fermo dentro cose che non vediamo,

oscure e senza definizione come i buchi neri.

 

*

In un tempo profondo di miliardi

remoti di anni il suono del mondo

e la pioggia inclinata e parallela

non erano che disarmonia di atomi,

perturbazione di particelle, essenza

inventata e generata dall’assenza,

dalla frattura, come un frammento

mancante che possiamo chiamare

bisogno, oppure imperfezione,

avvicina e separa le persone.

 

 

 

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