domenica 25 giugno 2023

UN LIBRO IN TRE PAROLE - Grazia Procino


SCONFITTI      MITO     CONTEMPORANEITA'

Queste le parole scelte da Grazia Procino per raccontare il suo nuovo libro di poesie

Filottete ovvero I vuoti ancora da sfamare - PeQuod 2023  

“Filottete ovvero i vuoti ancora da sfamare” è la ricerca-studio sulle figure del mito, contrassegnate dalla tragica solitudine e dalla sconfitta nel confronto e scontro con il mondo. A partire dallo sfortunato Filottete, che, ferito, viene abbandonato su un’isola deserta dai suoi compagni guerrieri, fino a comprendere, in una galleria poetica, le figure di Palamede, Priamo, Ifigenia, Calipso, Arianna;  l’opera ridisegna, in una prospettiva ribaltata e pasoliniana, la centralità dei vinti, perfino la loro irrinunciabile esemplarità.

Sconfitti è la prima parola per disegnare il percorso di senso della silloge e ne contiene la quintessenza, l’obiettivo perseguito.

     Priamo

 Mi sono genuflesso davanti al nemico

che mi ha ucciso il figlio

ha conquistato la mia città

ha sventrato la mia carne

prosciugando il mio sangue.

Lì davanti a cibi succulenti se ne sta

seduto

attorniato da donne e uomini imploranti

compiaciuto del suo ardore guerresco

vincitore

vittorioso

vincente

vivo

può guardare con soddisfazione beffarda

il corpo nudo

tendere la mano al vecchio sopraffatto.

I silenzi spaccano i timpani

le lacrime rattrappite si seccano

negli occhi

non c’è ancora molto giorno

per fermarmi a piangere.

Il dolore ha tempo a scadenza limitata:

si può gioire dopo il pianto.

 

Il mio studio recupera le figure dei vinti mitologici, i dimenticati come Palamede, l’anti-Ulisse, le abbandonate come Arianna e Calipso, le sacrificate come Ifigenia e intende nel mito recuperare i paradigmi dei sentimenti che ancora allignano nell’uomo perché il mito parla ancora all’uomo di oggi, è eterno e contemporaneo.

 Arianna

Quando mi svegliai

il sole era vivo

io mi scoprii dalle lenzuola bianche:

accanto non avevo nessuno.

Non più baci sulla fronte con cui

iniziavo le incombenze del giorno.

Ero stata abbandonata. Di notte.

Dall’uomo che diceva di non poter fare a meno di me.

Dov’erano le sue promesse?

Fui sul punto di annegare dentro

lacrime dal sapore amaro.

Guardai il mare davanti a me

l’amore era partito da lì.

Feci la promessa di non smarrirmi.

Puntai i piedi sul terreno robusto e

attesi il presente.

 

La contemporaneità quale spazio e tempo in cui gli archetipi mitici trovano ancora collocazione è la terza parola che configura la silloge. In modo particolare, il tempo sospeso e interrotto della pandemia da Covid segna la scrittura di questa silloge come un sigillo inamovibile, la percorre imprimendo la direzione  e l’uscita dal tunnel.

 

Tra le sferzate improvvise del vero

e il male sempre in agguato

(è così, davvero)

sorpresa e gioia

è la nostra reciproca

cura a difenderci,

anche quando nessun tormento plana.

Oltre i luoghi andiamo d’accordo

a viverci addosso

oltre il tempo ci incamminiamo

perché il dolore non si comprende

né si elude:

si raffredda nell’amore.

  

 

Anche se mi esercito a tradurre

l’approdo al dolore

mi sfugge o

io mi allontano, risoluta.

Vorrei catturare l’angolo di luce

e farlo durare

accendere bellezza

mangiare per le strade assolate

con il mare addormentarmi

oppure parlarci

accogliere le voci spoglie:

io vado in cerca dell’umano

tra voli inceppati e brulicare di sogni.

 

 

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