mercoledì 3 dicembre 2025

TELEFONICA, la rubrica delle pagine bianche: Finto finito - a cura di Valerio De Nardo

 

Dall’incisione di Escher Dag en Nacht appesa al muro, l’ultimo sguardo prima di togliermi gli occhiali e poggiarli sul comodino cadde sui fogli che vi stavano posati, su cui avevo stampato il racconto di Johannes Kepler, Keplero insomma. Somnium è una storia di terra e luna, di demoni e ombre, di figlio e madre e streghe, ma soprattutto antenata di tanta fantascienza. Sopra di essi la raccolta di articoli Lo sapevo, qui, sopra il fiume Hao di Carlo Rovelli e l’edizione Oscar Mondadori delle Cosmicomiche di Italo Calvino, che stavo rileggendo. Forse fu questa vista sinottica che mi indusse il sogno.

 

Duracoto e Qfwfq stavano discutendo tra loro cercando di capire come recapitare il senno perduto, dacché Astolfo aveva problemi con gli animalisti che gli impedivano di utilizzare l’ippogrifo per le sue puntate lunari: giudicavano lo stress a cui veniva sottoposta la mitica creatura non più tollerabile. Intanto Orlando era veramente furioso e recitava senza posa i versi della Chanson d’Aspermont.

     Dalla luna, non c’è che dire, la terra è uno spettacolo affascinante, forse un po’ monotono, anche se le nuvole bianche, le luci notturne delle città a contrasto del buio degli oceani donano al pianeta blu (quando lo vediamo nella parte assolata) un movimento cromatico interessante.

    Peraltro, Duracoto non conosce soltanto con la vista, ma anche con il sogno, mentre Qfwfq quando fu conchiglia sviluppò i propri occhi perché intuì vi fosse qualcosa da vedere, ma la consapevolezza primaria era quella di creare la spirale con le proprie secrezioni. È come per i cani, che conoscono col fiuto, costruiscono la mappa di un mondo di secrete molecole olfattive, che a noi rimane segreto, comunque ignoto.

     Dunque, la terra risultava per loro argomento interessante, perché, vicina com’è, attenua quella sensazione angosciosa d’infinito che lo spazio cosmico porta con sé lasciando un po’ spaesati, anche se Qfwfq manteneva con piacere un vago ricordo di quelle poche centinaia di migliaia di anni luce prima del big bang e delle fluttuazioni quantistiche nel vuoto.

     Quella sera, ossia la sera per l’emisfero terrestre che avevano di fronte in quel momento, appuntarono la loro attenzione su una parte specifica del pianeta, la punta di una penisola con delle macchie scure tra le luci. Ovviamente Qfwfq sapeva fossero le grandi aree montuose della Calabria, noto sfasciume pendulo sul mare, terra inquieta, migrante, sismica, franosa, in perenne movimento. Gli piace ripetere sino alla noia la storia che trenta milioni d’anni fa (lui c’era, ovviamente) quel pezzo di terra stava tutt’una con Provenza, Catalogna, Corsica e Sardegna, per poi staccarsene e vagare per mare finendo incistata nella penisola appenninica. Come un orso polare sui frammenti di ghiaccio, era andato vagando sopra quel frammento di Pangea molte volte, finendo poi per farvi il fossile in una delle terrazze aspromontane.

     Aguzzando la vista, lì dalla luna, nel Golfo di Lamezia si vede una strisciolina interrotta che si protende in mare, come un pontile distrutto o, forse, non finito. Perché tutto è precario, instabile: costruisci sapendo che prima o poi possa arrivare un terremoto.

I terremoti modificano luoghi e biografie. Per questo la storia li cataloga, ma la memoria sociale ne cancella le tracce dalla propria consapevolezza in un paio di generazioni. Le apocalissi non sopravvivono nei ricordi ma nei racconti.

I ricordi sono sempre labili, modificabili, mentre l’arte riesce a fermare finanche le sensazioni e a portarle lontano, ribaltando le prospettive e ingannando la percezione. Nel 1930 Maurits Cornelis Escher fece un lungo viaggio in Calabria: terra strana, povera e lontana. In Olanda, il suo paese d’origine, il paesaggio era piatto. In Calabria tutto era invece irregolare, scosceso, frantumato e quelle visioni incisero profondamente nella sua mente e nel suo stesso segno di incisore. Prese una nave a Napoli e sbarcò a Pizzo, lato Tirreno, scendendo poi a Sud e scoprendo Tropea, Nicotera, Palmi, Bagnara, Scilla e poi, costeggiando la punta dello Stivale e risalendo, lato Jonio, arrivando a Bova Marina, Melito Porto Salvo, Stilo, Monasterace. Attraversò questi luoghi marginali ma di assoluta bellezza in sella ad un mulo, raggiungendo i borghi grecanici tra Palizzi a Pentadattilo. Poi, ancora verso nord, arrivò a Catanzaro, Santa Severina, Crotone, Cariati, Rossano, Rocca Imperiale e Morano Calabro. Fermò in molti schizzi le verticalità dei paesaggi, gli arroccamenti degli abitati. Da essi trasse poi tredici stampe, Calabrie: sei xilografie e sette litografie, dove già si trovavano i segni di quello specchiarsi delle forme della realtà nei labirinti della mente, caratteristico del suo stile artistico.

Il ricordo della Calabria rimarrà e riemergerà nelle sue opere successive. Furono le forme della terra a conquistarlo, così irregolari e permeate dal caotico succedersi della storia geologica e umana. Era la prospettiva a frangersi, come se coste e colline potessero schiacciarsi e curvarsi, e con esse le case e finanche il destino.

     Disegnò la rupe di Tropea, antica e fiera a cospetto del mare, nella quale natura e mano dell’uomo si fondono, gli edifici paiono sorgere da essa piuttosto che poggiare sulla friabile arenaria, metafora della perenne precarietà della nostra storia.

     Se è questo che vede l’artista, che vedono Duracoto e Qfwfq, forse si spiega perché le case non sono finite, c’è un finto finito che lascia trasparire una spiritualità rassegnata dai muri non intonacati, dai mattoni a vista, dai tondini che dai tetti spuntano provvisori immaginando future sopraelevazioni, come le case ai fianchi dell’Amendolea. Però – proprio là dove sfocia la grande fiumara – nella grecità mediterranea della spiaggia di Condofuri un giovane Carlo Rovelli riesce a comprendere la relatività generale: vista da lì la relatività la vedi e quasi la tocchi.

 

Su quella riva finì il mio sogno, tra il non finito edificio della conoscenza e l’infinito della coscienza.

    

 

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