Per questa bellissima
rubrica ho deciso di proporre il seguente inedito di Daniele Gigli, tratto dalla raccolta
inedita Il corpo necessario.
Dai
coppi le cornacchie annunciano il mattino,
il
mezzogiorno, il pomeriggio, il vento,
qualsiasi
cosa che ci piaccia credere un segnale.
L’uomo è
più lento della strada che percorre – sempre e qui,
qui
dove Dio ci visita di spalle,
«non con
la forza, ma cadendo interminabilmente».
La
ruota gira, gira il tempo e porta via la pelle,
lascia
il vuoto nelle guance.
Questa
sirena che trapassa la finestra e insiste
e
sembra – e adesso è sera – sembra dica
è perso
il tempo, è perso e non ritorna.
Luci
che scontornano nell’ombra,
male di
pazzi – in ombra,
l’uomo
col cancro che gli mangia in faccia e che cammina,
e noi
che stiamo tra il bambino e l’acqua sporca,
tra il
bambino e l’acqua sporca,
tra il
bambino e l’acqua sporca.
Conosco Daniele da diversi anni e anche se ci
frequentiamo moto poco di persona, per lo più in occasioni di incontri
letterari informali con altri autori amici, la sua poetica mi arriva nel
profondo perché credo scandagli aree esistenziali e spirituali con aree di
intersezione significative. Daniele è un grande cultore di poesia italiana e
straniera (in particolare è un esperto e un appassionato traduttore di Eliot) e
ha un dettato cristallino e al contempo ricco di echi, i suoi versi risultano
chirurgici ma sanno di esserlo per necessità, non per vanità di indagare nelle
magagne degli altri o per esporre narcisisticamente sé stessi. C’è una onestà
vera e ricolma di pietas, nei suoi versi, ma sono banditi
sentimentalismi e scorciatoie (“e noi che stiamo tra il bambino e l’acqua sporca”). Il poeta si riversa in squarci musicali
potenti (“La ruota gira, gira il tempo e porta via la pelle, / lascia il vuoto
nelle guance.”), fotografa realtà vissute (“Questa sirena che trapassa la
finestra e insiste”), ci dona correlativi oggettivi palpitanti (“Dai coppi le
cornacchie annunciano il mattino”, un doppio settenario ovvero un martelliano),
immagini e suoni che si imprimono come tatuaggi indelebili nel lato interno del
nostro corpo che è in quanto anima che à in quanto corpo (“L’uomo
è più lento della strada che percorre – sempre e qui, / qui dove Dio ci visita
di spalle, / «non con la forza, ma cadendo
interminabilmente»”). C’è dunque una tensione ricca di energia contenuta in una
scrittura nitida, fluente, precisa: “Luci che scontornano nell’ombra, / male di pazzi – in ombra, / l’uomo col cancro che gli mangia in faccia e che cammina”.
La domanda senza punto di domanda che ci lascia (e si fa) per tre volte il
poeta di Collegno ci inquieta ma in fondo ci sprona ad alzare lo sguardo: Cosa
c’è fra il bambino e l’acqua sporca?
Ognuno
può trovare in sé stesso una o più risposte. In questo momento del mio cammino,
a me piace pensare a una sfida a scacchi di sapore ingamariano con la morte,
una sfida che certo destabilizza e angoscia ma ci ricorda quanto sia preziosa
ogni stilla di vita.
Daniele Gigli (Torino, 1978) è archivista
documentalista e studioso di letterature comparate. Amante di T.S. Eliot, gli
ha dedicato le traduzioni di The Hollow Men (Gli
uomini svuotati, 2010) e Ash-Wednesday (Mercoledì
delle Ceneri, 2013), oltre alla monografia T.S. Eliot. Nel
fuoco del conoscere, pubblicata con Ares nel 2021. Per lo stesso editore ha
di recente curato una scelta di traduzioni da Emanuel Carnevali, Finché Dio ci vede (2023).
Ha pubblicato quattro libri di scrittura in
versi, i più recenti dei quali sono Fuoco unanime (2015, 2016)
e Di odore e di generazione (2019).
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