mercoledì 24 gennaio 2024

SERRATI VERSI - Francesco Filia dialoga con Bernardo De Luca

 

 Campo aperto è l’ultimo libro di poesie di Bernardo De Luca  - poeta, docente universitario e critico letterario- edito da Amos Edizioni, 2022, con nota critica di Carmen Gallo. Si presenta come un libro essenziale e compatto, articolato in quattro brevi sezioni, di cui solo la terza ha il titolo: Trapassato. L’essenzialità della poesia di Campo aperto è data dall’ intento di cogliere il limite possibile dello sguardo e della parola poetica. Entrare in relazione con il gioco di ciò che si disvela e al tempo stesso si sottrae allo sguardo e al verso. Tutto ciò è espresso con una rigosa coerenza del dettato che esprime senza sbavature gli aspetti centrali del immaginario poetico dell’autore. A tal proposito ho posto a Bernardo, che ringrazio per la disponibilità, alcune domande.

 1)      Se una parola ancora ci è data,/ guardiamo”. Mi sembra centrale nel tuo libro, già dal titolo ‘Campo aperto’ fino ai versi conclusivi, il  nesso tra sguardo e parola, quasi che si possa parlare di una fenomenologia poetica della percezione. In che modo sguardo e parola interagiscono nei tuoi versi?

La parola poetica può contribuire a disattivare gli automatismi con cui percepiamo la realtà, a disinnescare l’abitudine con cui guardiamo i nostri modi di esistenza. Restituire l’oggetto come “visione” e non come “riconoscimento”: resto legato a questa ipotesi di Šklovskij (L’arte come procedimento), secondo la quale anche la più consuetudinaria delle azioni umane, filtrata dall’arte, disvela qualcosa che i nostri sensi tendono a riportare a meccanismi percettivi consolidati, costringendoci a non “vedere” (nel senso di non conoscere) cosa si cela dietro quelle azioni, quali effetti comportano. È una modalità che porta l’autore e il lettore a straniarsi. Lo sguardo, l’osservazione diventano allora metafora del processo conoscitivo (in cui sono coinvolti innanzitutto i sensi) che la parola poetica può liberare.

 2)      Un altro aspetto che mi sembra emergere dai tuoi testi è ‘l’elementare’, lo sguardo rivolto agli elementi, alla dimensione costitutiva della vita, quella più refrattaria a diventare parola, basti pensare alla serie “Insetti”. In che modo la tua parola poetica declina questo confronto?

La verità non è nella poesia, né nel mero dato materiale. Il processo conoscitivo di cui parlavamo prima è dato da una stretta relazione tra parola e fatti, tra linguaggio e realtà. Da qui, direi, l’attenzione a ciò che chiami “elementare”, ai fatti costitutivi della vita. L’ambizione è sottoporre questa attenzione a uno sguardo dislocato, in modo da non restituire un semplice rispecchiamento. Proprio la serie “Insetti”, in particolare il primo testo che apre la raccolta, voleva essere esemplificativa di questo atteggiamento. Il confronto con altre specie diviene una possibilità altra di percezione e, sebbene in via negativa, una possibilità di immaginare modi alternativi di esistenza.

 3)      E poi appare, per tratti e frammenti, la storia, basti pensare al testo ‘2001’ , con la sua forza dirompente che entra nella quotidianità. Come si relazionano tempo storico e tempo quotidiano in una poesia, come la tua, in cui la memoria non sembra avere un ruolo salvifico?

Tempo quotidiano e tempo storico sono profondamente intrecciati. Non si dà, a mio giudizio, opposizione. Il tempo storico condiziona le pieghe più intime della nostra vita, persino i moti psichici più nascosti: se crediamo, ad esempio, che per ognuno di noi sono costitutivi i traumi familiari sin dai primi vagiti, ebbene la struttura familiare è sempre connotata storicamente. Il tempo quotidiano può essere, dunque, allegoria del tempo storico, se non addirittura un sintomo. Non si dà poesia fuori dalla storia. Anche le posizioni verso astrattezza e purezza della poesia sono determinate storicamente. Qualsiasi fuga dalla storia è un gesto storico.

 4)      Mi sembra che la traccia comune a tutte le tue poesie sia un sospeso e attonito dis-incanto, come emerge potentemente, ad esempio, nel testo ‘Sospensione’. Traccia che in tutto il libro viene da te modulata polifonicamente: dal testi più brevi ed epidittici a testi più distesi e dialoganti fino alla prosa poetica. In base a quali criteri hai organizzato il libro? Quale equilibrio hai trovato nei testi e tra i testi?

Il libro precedente, Misura, era organizzato poematicamente, con un’unica struttura metrica (il distico libero). Ciò significa che l’aspetto progettuale era preponderante. Da un lato, quindi, il progetto garantiva una scrittura sicura e guidata, dall’altro, però, quel progetto finiva per essere una prigione. In Campo aperto (e il titolo ha anche queste risonanze interne, oltre ad essere un’immagine della “possibilità” in generale) ho lasciato più autonomia al farsi dei singoli testi, lavorando successivamente a un’articolazione strutturale per il libro. Dialetticamente, sono ritornato a modalità di scritture più vicine al primo libro (Gli oggetti trapassati), ma con l’esperienza dei vincoli di Misura. Non a caso, una sezione accoglie alcuni testi proprio degli Oggetti. Ciò mi ha permesso di ritornare alle potenzialità del testo discontinuo proprio della poesia moderna e contemporanea: la natura discreta della temporalità, la messa in evidenza delle fratture, l’autonomia formale di ogni singola tessera vengono lavorati di contrappunto in una fase successiva, creando l’unità dei molti.

  

CAMPO APERTO

 

Quanto di noi resta e si appresta
a un giorno pieno.
I dispositivi spenti illudono
ci sia un altro tempo nel tempo:
le bambine mettono fiori nelle pentole
gioco o rito che non va decifrato
che non celebra niente
che non significa niente
mentre ci arresta una paura di noi.

Puoi dirlo quel senso di avvicinamento
che ti spinge giorno dopo giorno?

Un campo aperto, privo di alberi,
un campo vuoto, lo sguardo.

 

 

INSETTI    I

 

Sono arrivati i calabroni.

Quest’anno in anticipo

per il gran caldo di fine inverno.

Infestano i balconi, sbattono alla finestra

con un rumore sordo, ci chiediamo

quale dolore provino.

A volte sembrano muoversi confusi,

ne abbiamo paura.

Non siamo in grado di dire se siano

maschi o femmine.

 

È difficile comprendere il motivo

del loro arrivo. Perché questo condominio?

Il calabrone non ha interesse

per l’uomo, il caldo finirà.

Potremmo dire che ci guardano con sospetto,

attendono la preda (pezzetti di carne, rimasugli)

o forse non sanno, semplicemente vedono

gesti disperati muti ripetuti.

 

Celle, cellette, nidi pronti a sfarinarsi,

saliva mista a legno, attacca e costruisci,

prevedi, muori per la specie.

 

 

 TOTALITÀ

 

Qual è il momento, quando finisce l’ansia
e dal pavimento s’alza il desiderio.

Fuori solo bestie che passano,
una lunga notte di attività umane ridotte:
questa è l’immagine di una vita senza spreco.

Puoi veramente ricordarlo?

A pochi metri dal tavolo, tutto dispiegato
in un dispositivo,
un unico me moltiplicato
preso da tutti, ignaro di tutto.

 

  

Bernardo De Luca (Napoli, 1986) insegna Letteratura italiana presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Si occupa prevalentemente di letteratura moderna e contemporanea. È redattore della rivista «Filologia e Critica» e della collana Bites900. Ha curato l'edizione critica e commentata di Foglio di via di Franco Fortini (Quodlibet, 2018) e pubblicato la monografia Il tempo diviso. Poesia e guerra in Sereni, Fortini, Caproni, Luzi (Salerno Editrice, 2022). Membro della giuria del Premio Internazionale Franco Fortini. Ha pubblicato le raccolte poetiche: Gli oggetti trapassati, d'if, 2014; Misura, Lietocolle-Pordenonelegge, 2018; Campo aperto, Amos edizioni, 2022.

 


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