“Fermare
i trafficanti, non continuino a disporre della vita di tanti innocenti…
I viaggi
della speranza non si trasformino più in viaggi della morte. Le limpide acque
del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali tragici incidenti…
Che il Signore ci dia la forza di capire e di piangere” (Papa
Francesco dopo il naufragio di Steccato di Cutro)
Il 19 aprile del 2023, con un gruppo di sacerdoti della Diocesi di
Tricarico, accompagnato dal parroco di Steccato di Cutro, mi reco su quella
spiaggia che la notte tra il 25 e il 26 febbraio vide, a pochi metri dalla
riva, infrangersi il sogno di libertà di circa 100 persone, sotto le onde
furiose del mare.
Il 19 aprile è una giornata di sole, il mare è liscio come l’olio e
trasparente. Sulla spiaggia i segni di croci, di fiori, lumini spenti, scarpe,
vestiti, peluche per bambini, biberon…, tanti pezzi di legno di
quell’imbarcazione sparsi per centinaia di metri.
E’ difficile parlare. C’è solo silenzio. Nessuno ha voglia di aprire bocca.
Solo preghiera e commozione prima di celebrare la S. Messa in suffragio dei
naufraghi e dei dispersi.
Ora che i riflettori nazionali e internazionali si sono spenti, le
passerelle finite, c’è il riflesso dorato del sole che solca quelle calme e
deliziose acque come grembo che ha accolto l’ultimo alito di vita sulla terra
di bambini, giovani, adulti.
Raccolgo due piccoli pezzi di legno di quella barca. Li porto gelosamente con me fino a Matera, dove, nella mia cappella li pongo per sempre a forma di Croce. Ogni giorno un ricordo nella preghiera per i tanti, troppi innocenti che nel nostro splendido mare trovano la morte.
Sono almeno 40 anni che si assiste, a volte sgomenti, altre volte
addolorati, altre volte, purtroppo, stanchi o meglio scocciati, nel vedere
corpi senza vita recuperati in tutto il bacino del Mediterraneo. C’è la morte
sulle rotte tracciate nel nostro mare: partono dalle coste africane o da quelle
dei Balcani per approdare su quelle siciliane o calabresi, a volte pugliesi.
Si tratta di spostamenti di persone e non di numeri. Dietro ad ogni numero c’è un essere umano: una sorella,
un fratello, una figlia, un figlio, una madre o un padre, che hanno lasciato il proprio paese affrontando difficoltà estreme,
sperando di raggiungere una nuova terra dove trovare migliori condizioni di
vita.
Purtroppo, ormai, siamo abituati a conoscere o, meglio, vedere i migranti
solo quando arrivano sulle nostre terre, ma difficilmente si parla delle
motivazioni che li portano a scappare. Una su tutte: i loro paesi sono
fortemente segnati dalle conseguenze lasciate dagli Stati postcoloniali. Quindi
l’Occidente! Quindi anche l’Italia!
Dieci anni prima, il 2013 è ricordato per l’aumento dei grandi flussi migratori a causa dell’instabilità politica dei paesi che si affacciano sul mediterraneo. In questo contesto non dimentichiamo le scene del naufragio avvenuto il 3 ottobre 2013, a poche miglia dalle coste di Lampedusa, per il grande numero di vittime che ha provocato. E’ stata la più grande tragedia conosciuta e documentata.
La storia ci insegna che tutte le civiltà hanno trovato la loro costruzione
e il rinnovamento attraverso le migrazioni. Senza andare troppo lontano
basterebbe considerare i precedenti secoli: dall’ottocento al Novecento e
quindi a questo periodo del terzo millennio. Noi italiani e, in particolare del
Sud, abbiamo letteralmente invaso il mondo alla ricerca di un futuro migliore.
Nelle Americhe, in Australia, nel Nord Europa. Tutti i popoli, sull’intero
globo terrestre, con oltre 160 milioni di persone hanno trovato collocazione e
integrazione contribuendo in modo essenziale alla crescita economica,
culturale, umana, religiosa.
Oggi la malavita organizzata ha investito sui poveri disgraziati: sono una
risorsa da sfruttare che rende bene con “carrette” del mare, con il racket
della prostituzione delle donne, del caporalato per gli uomini.
Charitas italiana, qualche anno addietro ha pubblicato “Cause di migrazioni e contesti di origine”. Riporto questo pensiero: “Quando
si parla di migrazioni “l’occhio di bue” mediatico illumina sempre l’apice
della crisi. La luce viene puntata sugli sbarchi, gli arrivi, l’accoglienza. La
punta dell’iceberg insomma. Non passa giorno senza resoconti mediatici
concentrati sugli aspetti negativi della migrazione. Migranti che paiono
piovuti dal cielo, in arrivo da terre sconosciute. Persone decontestualizzate e
ridotte a categorie giuridiche e mediatiche di richiedenti asilo, profughi,
migranti economici, o più brutalmente categorie discriminatorie di clandestini,
invasori, irregolari”.
Sono almeno quarant’anni che il fenomeno migratorio è ripreso in
particolare verso i paesi occidentali, trovando nelle politiche dei governi che
si sono succeduti in Italia e in Europa costanti ostacoli alla circolazione
delle persone, impedendo quel ricongiungimento familiare con quanti erano
partiti prima. Al contrario c’è stato un incremento del libero mercato delle
merci, del commercio dei beni. Basterebbe vedere come proprio in questi giorni
le rotte del commercio vengono difese con il rischio di una guerra mondiale.
Se nei secoli precedenti le motivazioni che spingevano la nostra gente a
spostarsi, dall’Italia in altri paesi, erano sintetizzati nel sogno americano o
australiano, oggi si scappa da povertà, miseria, guerre, ingiustizie,
persecuzioni. Sta emergendo sempre di
più una nuova figura del migrante che è quella del rifugiato che scappa dai deboli regimi dittatoriali, da guerre
civili che hanno procurato e continuano a procurare milioni di vittime senza
che l’occidente sia adeguatamente informato e nel silenzio delle istituzioni
europee.
La nostra Costituzione, parlando del rifugiato all’art. 10, spiega che
bisogna dare diritto d’asilo a chiunque non goda nel proprio Paese delle
libertà democratiche garantite dalla stessa nostra Costituzione. Eppure dal
1990 si sono succeduti interventi legislativi atti a regolarizzare,
allontanare, impedire il flusso migratorio:
- la legge 39/1990 cosiddetta legge Martelli
la legge 40/1998, la cosiddetta Turco-Napolitano, e successivamente al Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero (Dl 286/1998).
- la legge 189/2002,
conosciuta come legge Bossi-Fini
-
Non
dimentichiamo che c’è un “Decreto Cutro”,
stilato e approvato, nei giorni successivi alla tragedia nei locali del palazzo
comunale di Cutro, dove si è ritrovato il Consiglio dei Ministri dell’attuale
governo.
Alcune norme del
medesimo Decreto, convertito il 5 maggio dalle Camere nella legge numero 50,
hanno suscitano «profonda preoccupazione»
nell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Durante il 43° Convegno Nazionale della Caritas italiana, svoltosi a Salerno, il Presidente della CEI, Card. Matteo Zuppi ha sottolineato: «La migrazione non è una emergenza ma una realtà con cui fare i conti con lucidità, realismo e capacità innovativa. Non è un problema da risolvere, ma una realtà da governare nella sua complessità, dando attenzione ai diversi valori. Alla vita delle persone, ossia se uno sta morendo va salvato; alla loro dignità, al desiderio di pace, giustizia e di un cammino di vita migliore. Sul tema dell’integrazione vorremmo che i migranti fossero tutelati e non limitati dalle leggi. Serve poi un lungo e paziente lavoro per eliminare le cause delle migrazioni forzate».
Quale monito dalla
tragedia di Steccato di Cutro? A breve sarà l’anniversario. Si riaccenderanno i
riflettori per qualche ora, sentiremo le solite dichiarazioni, rivedremo, con
gli occhi del ricordo e di uno sgomento non ancora spento, i corpi galleggianti:
i “più fortunati” saranno recuperati, riconosciuti e seppelliti; tantissimi
altri rimarranno senza nome in una tomba comune. Il mare, che oggi accoglie e
custodisce la loro memoria, domani giudicherà questo nostro tempo così grigio e
disamorato della vita; questa umanità, non più popolata da amici, figli o
fratelli che, riconoscendosi, si incontrano, ma da nemici che si scansano
quando non si uccidono.
È allora che mi
chiedo chi siano i veri naufraghi…
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