Nel
Principio c’era la Parola, ma poi arrivò il
Poeta…
Perché hai iniziato a
scrivere? Perché scrivi poesia? Sono due domande apparentemente ingenue che più
delle altre, mettono a disagio colui o colei che scrive e/o fa Poesia. Il Poeta
non può sfuggire dall’interrogarsi sulla ragione del proprio scrivere, sul
processo della creazione, su tutto ciò che riguarda l’inizio e la fine,
l’universo, la giustizia, la bellezza, l’amore, la Vita.
Di conseguenza per forgiare la
Parola poetica, parte dal proprio quotidiano, cogliendo la meraviglia e
attraverso delle domande, il senso del singolare, la semplicità, il dettaglio,
ma anche il Fuoco, la voce collettiva, l’Universale.
“Nel principio era la Parola
(Logos), e la Parola (Logos) era con Dio, e la Parola (Logos) era Dio.” (Gio.
1:1)
La Parola, questa Dea onnisciente
precede e accompagna il mondo del Poeta dal Principio alla Fine. Lo culla nel
suo vagare esistenziale e poi lo riporta a Casa. Qualche poeta direbbe che la
Poesia sia la sua dimora abituale e si ciba della vita che le pulsa intorno.
Credo che sia proprio così. La Parola poetica prende vita e vigore dalla nostra
percezione del mondo. La prima volta
non fu quando ci spogliammo/ma qualche giorno prima/mentre parlavi sotto un
albero/sentivo zone del mio corpo/che tornavano a casa (Franco Arminio Bisaccia,
1960)
È il mondo vicino a noi che
interessa al Poeta. Porsi delle domande o esprimere il disagio esistenziale o
il suo dissenso attraverso la magia della Parola, pone la Parola poetica in una
condizione di “distinzione” e di “libertà”. Esprimersi è finalmente
riconoscersi in quell’ “Esilio” fatto dal cammino di tanti simili. La Parola
poetica mi ricorda il biblico percorso che giunge alla terra promessa
che tale poi non è, date le precarietà, la violenza, l’egoismo e la miseria del
genere umano.
In ogni caso, l'Esilio è una
scelta inevitabile del vivere dei poeti diceva Cioran. È un viaggio che si paga
a caro prezzo, che porta disagio e odora di morte e di perdita, per poi
ritrovare la speranza in tanti semi nascosti. Il nulla del foglio bianco chiama
irresistibile ed è proprio lì che la Poesia trova redenzione, creando un’alternativa sul mondo: Occhi
nuovi/nuove parole/nuove conquiste. Tornare vuol
dire guardarci/E andare oltre i nostri occhi, /dove si perde il
mare. (Tornare, “Un lungo arco di parole”,
Locaita 1998, Aldo Dramis)
Qui nel nostro/nostri Sud la Poesia da sempre ha trovato la sua naturale
declinazione nel paradigma del Navigante che vi trova ristoro e radici,
ma che allo stesso tempo non disdegna di esplorare altre terre, altri porti,
costruendo piccoli nidi di amore con la nostalgia di ogni Altrove.
Il singolare e il plurale della
Parola meridionale non lascia spazio all’indifferenza; squarci di versi a volte
crepuscolari, altre scomodi, rimescolano quel vociare mitico che da sempre
collochiamo come tipico “meridionale”. È lì che la Parola trova il suo naturale
ritmo e… Cantari. E passiju nto voscu quandu/ ‘u tempu rallenta, mi
ngrugnu/nt’è cuvi undi ‘u focu s’a cogghji/’i na nticchjia. Accarizzu ‘n
piruni/ e mi bloccu. Ja sulu mi gurdu d’amuri.[1] (Cerzi
muzzati, da “Na folia nt’è falacchi/ Un nido di fango, Alfredo Panetta)
Altre volte la Parola
meridionale profuma di tempesta appena acquietata, di dolcezza e speranza che
si posiziona in un bilancio del dare e dell’avere del senso della poesia che
non è lingua dell’Eden, ma è sanguigna e da tale rivendica la sua
identità e il suo orgoglio O canto, sottilissima/vena che si fa canto,/che
scorre nel cavo delle midolle/e aspira ad un’ineffabile Letizia… (Rimane
tra e me e te, “Poesie” Rubettino 1986, Lorenzo Calogero).
Da ricordare che un nodo fondamentale della parola
poetica è quello di “dare voce”, a chi voce non ce l’ha o non può farsi
sentire. Sottolineare la dignità della sofferenza, significa che la Sorgente
della Parola è sempre piena. Non gridatemi più dentro,/non soffiatemi in
cuore/i vostri fiati caldi, contadini.
(Sempre nuova è l’alba, “Tutte le poesie”, Mondadori 2004, Rocco
Scotellaro).
Così, in perenne Esilio della
lingua, del Verbo e della Poesia, si radica la forza per dire sempre la Propria, rivendicando
la memoria del vivere.
Alle parole lascio una
carezza/soave come il miele di acacia/grata per la fedeltà e la battaglia (Testamento, da “Ed è per questo che erro”, Smederevo 2007, Anna
Santoliquido).
Nel Principio c’era la Parola, ma poi arrivò il Poeta che di Amore la rivestì per non farla mai
morire: Anche queste parole finiranno/ma non l’amore che le ha messe insieme.
(Parole come semi, “Le parole finiranno, non l’amore”, Manni, 2020 Silvano
Trevisani)
[1]
Cantare. E cammino nel bosco/quando il tempo rallenta, mi rannicchio/nei
covi dove il fuoco è spirato/da poco. Accarezzo un legnetto/mi blocco, là
soltanto mi sazio d’amore.
Nessun commento:
Posta un commento