martedì 23 aprile 2024

A SUD DI OGNI ALTROVE - Griselda Doka


Nel Principio c’era la Parola, ma poi arrivò il Poeta…

Perché hai iniziato a scrivere? Perché scrivi poesia? Sono due domande apparentemente ingenue che più delle altre, mettono a disagio colui o colei che scrive e/o fa Poesia. Il Poeta non può sfuggire dall’interrogarsi sulla ragione del proprio scrivere, sul processo della creazione, su tutto ciò che riguarda l’inizio e la fine, l’universo, la giustizia, la bellezza, l’amore, la Vita.

Di conseguenza per forgiare la Parola poetica, parte dal proprio quotidiano, cogliendo la meraviglia e attraverso delle domande, il senso del singolare, la semplicità, il dettaglio, ma anche il Fuoco, la voce collettiva, l’Universale.

“Nel principio era la Parola (Logos), e la Parola (Logos) era con Dio, e la Parola (Logos) era Dio.” (Gio. 1:1)

La Parola, questa Dea onnisciente precede e accompagna il mondo del Poeta dal Principio alla Fine. Lo culla nel suo vagare esistenziale e poi lo riporta a Casa. Qualche poeta direbbe che la Poesia sia la sua dimora abituale e si ciba della vita che le pulsa intorno. Credo che sia proprio così. La Parola poetica prende vita e vigore dalla nostra percezione del mondo.  La prima volta non fu quando ci spogliammo/ma qualche giorno prima/mentre parlavi sotto un albero/sentivo zone del mio corpo/che tornavano a casa (Franco Arminio Bisaccia, 1960)

È il mondo vicino a noi che interessa al Poeta. Porsi delle domande o esprimere il disagio esistenziale o il suo dissenso attraverso la magia della Parola, pone la Parola poetica in una condizione di “distinzione” e di “libertà”. Esprimersi è finalmente riconoscersi in quell’ “Esilio” fatto dal cammino di tanti simili. La Parola poetica mi ricorda il biblico percorso che giunge alla terra promessa che tale poi non è, date le precarietà, la violenza, l’egoismo e la miseria del genere umano.

In ogni caso, l'Esilio è una scelta inevitabile del vivere dei poeti diceva Cioran. È un viaggio che si paga a caro prezzo, che porta disagio e odora di morte e di perdita, per poi ritrovare la speranza in tanti semi nascosti. Il nulla del foglio bianco chiama irresistibile ed è proprio lì che la Poesia trova redenzione,  creando un’alternativa sul mondo: Occhi nuovi/nuove parole/nuove conquiste. Tornare vuol dire guardarci/E andare oltre i nostri occhi, /dove si perde il mare.  (Tornare, “Un lungo arco di parole”, Locaita 1998, Aldo Dramis)

Qui nel nostro/nostri Sud la Poesia da sempre ha trovato la sua naturale declinazione nel paradigma del Navigante che vi trova ristoro e radici, ma che allo stesso tempo non disdegna di esplorare altre terre, altri porti, costruendo piccoli nidi di amore con la nostalgia di ogni Altrove.  

Il singolare e il plurale della Parola meridionale non lascia spazio all’indifferenza; squarci di versi a volte crepuscolari, altre scomodi, rimescolano quel vociare mitico che da sempre collochiamo come tipico “meridionale”. È lì che la Parola trova il suo naturale ritmo e… Cantari. E passiju nto voscu quandu/ ‘u tempu rallenta, mi ngrugnu/nt’è cuvi undi ‘u focu s’a cogghji/’i na nticchjia. Accarizzu ‘n piruni/ e mi bloccu. Ja sulu mi gurdu d’amuri.[1] (Cerzi muzzati, da “Na folia nt’è falacchi/ Un nido di fango, Alfredo Panetta)

Altre volte la Parola meridionale profuma di tempesta appena acquietata, di dolcezza e speranza che si posiziona in un bilancio del dare e dell’avere del senso della poesia che non è lingua dell’Eden, ma  è sanguigna e da tale rivendica la sua identità e il suo orgoglio O canto, sottilissima/vena che si fa canto,/che scorre nel cavo delle midolle/e aspira ad un’ineffabile Letizia… (Rimane tra e me e te, “Poesie” Rubettino 1986, Lorenzo Calogero).

 Da ricordare che un nodo fondamentale della parola poetica è quello di “dare voce”, a chi voce non ce l’ha o non può farsi sentire. Sottolineare la dignità della sofferenza, significa che la Sorgente della Parola è sempre piena. Non gridatemi più dentro,/non soffiatemi in cuore/i vostri fiati caldi, contadini.  (Sempre nuova è l’alba, “Tutte le poesie”, Mondadori 2004, Rocco Scotellaro).

Così, in perenne Esilio della lingua, del Verbo e della Poesia, si radica la forza  per dire sempre la Propria, rivendicando la memoria del vivere.

Alle parole lascio una carezza/soave come il miele di acacia/grata per la fedeltà e la battaglia (Testamento, da “Ed è per questo che erro”, Smederevo 2007, Anna Santoliquido).

Nel Principio c’era la Parola, ma poi arrivò il Poeta che di Amore la rivestì per non farla mai morire: Anche queste parole finiranno/ma non l’amore che le ha messe insieme. (Parole come semi, “Le parole finiranno, non l’amore”, Manni, 2020 Silvano Trevisani)

 

 



[1] Cantare. E cammino nel bosco/quando il tempo rallenta, mi rannicchio/nei covi dove il fuoco è spirato/da poco. Accarezzo un legnetto/mi blocco, là soltanto mi sazio d’amore. 


 

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