Quell’estate mi
addormentai sulle sponde del fiume e cominciò il mio viaggio. La terra
s’allontanava, sempre più piccola, un nocciolo di ricordi: silenzi d’acqua
delineano forme, ricordi bagnati s’inchinano al sole, il fiume calmo ansima
inquieto. Il ponte dell’isola sta di vedetta, osserva la linea: all’orizzonte
la palla di fuoco. Sensazioni interne, quelle onde danzano i passi della mia
vita. Fermo davanti “San Bartolomeo all’Isola”, la stessa procedura, attendevo
il cambio di guardia, il saluto del carabiniere e poi pronto a partire. I piedi
a terra, a sistemarmi la divisa e il berretto, a ricompormi con il mondo, con
l’aria stessa che respiravo. Mostravo la corazza, coprivo l’anima. Pelle
segnata, testimonianze del tempo, tracce di un percorso che cammina, fragile e
combattivo di chi ancora vuole amare. Mi accesi una sigaretta e cominciai ad
incamminarmi cercando di convincermi che il caldo era dentro, tra le membra.
Eppure non sudavo. Non c’era nessuna goccia. Una raffica di vento fece volare
il berretto che urtò i piedi di una panchina in apparenza solitaria. Adagiata
su di essa un foulard di seta rosa e blu. Fermo, muto davanti a quella scena ,
apparve lei. Osservai quei gesti afferrare il foulard che volò tra le sue mani.
Quegli occhi, quello sguardo, mi bruciarono in petto. Toccai i raggi del sole
con le mie mani. Sveglio con Roma nel petto sapevo che l’avrei rivista.
“Ci sono arrivi che non interrogano le partenze e quello che viaggia fuori non è mai prevedibile, può trovarti impreparato, disilluso o sfiduciato. Viaggia, cammina, procede e ti colpisce, ti avvolge dentro”.
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