Vi sono conflitti personali, conflitti
interpersonali e conflitti tra gruppi allargati di persone. Desidero parlare
del conflitto interpersonale, in particolare quello di coppia, per dare una mia
possibile interpretazione della tragedia che ha colpito Cecchettin Giulia nel
rapporto con il suo ex fidanzato Filippo Turetta.
Comincio con una fiaba. Un mago viene racchiuso
in una bottiglia e messo in fondo al mare. Grida:” A chi mi libererà darò il
dominio di tutto il mondo”. Passano cento anni e nessuno lo libera. Il magro di
nuovo grida: “A chi mi libererà darò il dominio delle cinque città più grandi
del mondo”. Ma nessuno lo libera. Passano cento anni. Il mago grida: “A chi mi
libererà darò un forziere pieno di gioielli”. Nessuno lo libera. Passano cento
anni e il mago grida: “A chi mi libererà, lo ucciderò”.
Io penso e so. Il rapporto intimo con il genitore è fondamentale nei primi anni di vita e l’assenza di questo ultimo, per carattere, vuoi per motivi di lavoro, per altre ragioni, può provocare nel bimbo una privazione insanabile. Si crea nel suo essere un buco, una menomazione insopportabile. Si forma nel profondo di questa persona una invidia, che cresce sempre di più attraverso successive esperienze di frustrazione dei propri bisogni fondamentali. La stessa invidia lo affligge, lo tormenta senza momenti di riposo. L’invidia porta a un processo psichico di grande significato chiamato Identificazione proiettiva. Si proiettano parti dell’io o l’io totale sulla madre e si vivono in lei i propri impulsi di odio e di amore.
Questo meccanismo lo si rivive negli anni quando si proietta sul partner o su altre figure importanti la propria figura genitoriale, e poi la si invidia e la si vuole distruggere per la sua ricchezza e creatività. La grande psicanalista Melania Klein afferma con chiarezza che l’invidia si sviluppa su una polarità fondamentale: l’invidioso percepisce sé stesso come un essere vuoto e presuppone l’altro pieno. Si può capire allora come non può accettare di perdere la persona “amata”, la persona su cui ha proiettato, nella relazione adulta, il proprio essere di fatto “menomato”. Va ricordato che su questi contenuti si attua la rimozione, per quanta sofferenza essi producono. E quindi il soggetto può non esserne consapevole.
Trovo nei due giovani 22enni caduti nella
tragedia della morte l‘applicazione reale dei processi presenti in quello che sopra
ho ricordato. Perché si possa produrre questo evento sono necessari due
fattori. Il primo: la presenza nella persona “malata” di una carenza
essenziale, tale da aver prodotto una assoluta incapacità di procedere nella
propria crescita umana. Il secondo: trovare nel partner o in altre figure
l’esatta corrispondenza del proprio Bisogno represso. E quindi la propria
ambivalenza verso di esso. Quando questo succede, allora scatta il dramma. Esso
scatta sempre e rivela all’esperto la situazione che si sta riproducendo. In
questa situazione, per quello che riguarda la mia esperienza professionale, o
si affronta il problema con una analisi seria del profondo, di modo tale che la
persona disturbata riconosca la ripetizione che sta riproponendo e con lo
psicoterapeuta attui il passaggio a forme nuove di soluzione. Oppure l’individuo
disturbato agirà nel reale, con la consapevolezza dell’adulto, la violenza subita
nella primissima infanzia e la sua incapacità a risolverla.
Un bambino di 11 anni frequentava la seconda
media. Fu espulso perché aggrediva sistematicamente i docenti. Il bambino era
pienamente adeguato per la sua età. Chiesi alla madre di venire lei in
psicoterapia, per porla al corrente del dramma che viveva suo figlio. Accettò.
Impiegai tre mesi per farle capire la fiaba e come ora poteva aiutare il suo
bambino a riprendere con lei, ancora in tempo per l’età, l’intimità persa.
Avvenne. Gli insegnati chiamarono la madre per riferire i cambiamenti del
figlio e che erano per tanto soddisfatti, per cui il ragazzo poteva continuare
con loro per la terza media.
E qui torniamo ai due giovani Giulia e Filippo.
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